Schemi sovvertiti
Al ristorante dove lavora Pietro i tavoli sono ancora accatastati, per il Coronavirus, ma c'è il take away. È il luogo dove Pietro porta il suo contributo di lavoratore. E la cena ha un sapore diverso
Ieri sera siamo andati al ristorante dove lavora Pietro, Cascina dei Filagni, che ha appena aperto, ma solo per asporto.
Anche il guidare per un breve tratto, dopo due mesi, sembra un'esperienza fragile.
Le mani e i piedi che hanno perso un'abitudine e gli occhi che devono ricalcolare distanze prima automatiche.
Sui bordi della strada i papaveri, quest'anno non li avevo ancora visti.
Arriviamo al parcheggio del ristorante, non so se ci saranno molte persone e ci si dovrà regolare per la fila.
Non c'è quasi nessuno, un giovane cameriere mi dice di igienizzare le mani mentre saluta Pietro, è Luca, un suo collega.
E Angelo saluta Pietro affettuosamente, non possiamo abbracciarci però, gli dice, lo sai vero?
Poi va dietro il banco, Pietro si avvicina e posa le sue mani, coperte dai guanti di lattice, su quelle di Angelo, anche loro coperte dai guanti.
Per un attimo.
Angelo non si sottrae, Pietro non indugia. Uno scambio di vicinanza al tempo della fase due.
Parliamo un po', i tavoli sono accatastati, ce ne sono solo due con la tovaglia all'ingresso.
Speriamo di poter riprendere presto, eh Pietro, gli dice.
Angelo si era molto preoccupato all'inizio, aveva immaginato crollare quello per cui si era tanto impegnato e in cui metteva tutto sé stesso.
Come credo molti ci si era sentiti persi, senza futuro.
Ora gli sguardi si sono affaticati e poi rialzati e poi rabbuiati ancora. Hanno attraversato il deserto.
E apprezzano anche quel poco d'acqua che si profili all'orizzonte, per Angelo questa apertura da asporto, che non è nelle loro corde, ma per non stare ancora chiusi completamente.
Angelo accompagna Pietro anche sulla porta della cucina per salutare i pochi colleghi al lavoro, sempre da distante.
Il nostro festeggiare con lui la riapertura è fatta di questa cena speciale, anche con tiramisù e cheesecake.
La cena arriva poi, portata la Luca, in sacchetti di carta.
Pietro è felice dietro la sua mascherina. Ancora un saluto ad Angelo.
A casa gustiamo questa cena insieme a Cinzia e Irene.
La bontà dei cibi è quasi accessoria. Prevale l'elemento simbolico di questo momento, la cena come dono, come ripresa.
Come occasione di solidarietà con chi ha subito una grave perdita. Tutti, in tanti modi diversi.
Non avrei mai pensato sarei andato al ristorante per un dono, al ristoratore e a me stesso.
La mia cultura spartana mi ha sempre fatto evitare questi luoghi come spazi di lusso, così li ho sempre percepiti. Ma ora è il luogo dove Pietro porta il suo contributo di lavoratore.
E sono costretto a rivedere i miei schemi. Sovvertiti dal coronavirus e da Pietro. Molto più dal secondo che dal primo.