Quattro traguardi per rendere Milano una cittą per tutti
Intervista al neo-presidente di LEDHA Milano. "Ci aspetta un lavoro impegnativo ma appassionante, su molti fronti. Di cui beneficeranno anche coloro che verranno dopo di noi"
“In LEDHA Milano ho trovato una situazione viva e briosa, dove ogni associazione che compone la nostra federazione provinciale è pronta ad affrontare assieme a noi i problemi quotidiani e non delle persone con disabilità. Disponibili altresì a disegnare con concreto impegno realistici progetti di inclusione sociale”. Eletto presidente della federazione provinciale milanese da un paio di mesi, Enrico Mantegazza, già vice presidente di LEDHA regionale, nonché membro del consiglio direttivo regionale, tratteggia così il quadro della realtà associativa, nonché le sfide presenti e future che attendono le diverse associazioni delle persone con disabilità, nel capoluogo lombardo e non solo.
Quali sono i temi principali al centro del suo mandato?
In buona sostanza quattro: scuola, lavoro, vita indipendente, eliminazione barriere architettoniche. Senza però trascurare altri due aspetti che ritengo di fondamentale importanza, onde concretizzare una reale inclusione sociale delle persone con disabilità: un collegamento più effettivo con i poli della disabilità della nostra città e non solo; e una rinnovata volontà di provare ove ciò sia ben accetto, ad appoggiare le strutture sanitarie come il Centro Clinico NeMO e DAMA. Due realtà che considero travi portanti dal punto di vista sanitario, tali da favorire una serena e sicura inclusione sociale, volta ove desiderato anche a uscire dal nucleo familiare d'origine, ed anche dalle residenze sanitarie per disabili di vecchio stampo. Sarebbe altresì a mio modesto parere, cosa buona e giusta, appoggiare la nascita di altre risposte sanitarie come quelle succitate.
Ci sono i beneficiari di questo lavoro?
Quello che dobbiamo affrontare è un lavoro impegnativo ma appassionante, perché si tratta di portare avanti un sempre più evidente cambiamento culturale della nostra società. Un cambiamento di cui potranno beneficiare non sono soltanto le persone con disabilità e le persone anziane non più autonome, ma soprattutto coloro che si ritroveranno in futuro in posizioni sociali uguali o simili alle nostre.
Noi tutti però, dobbiamo avere chiaro alcuni concetti di fondo. Il primo: ogni euro che il contribuente versa con le proprie tasse e che viene messo a disposizione delle persone con disabilità per favorire una concreta inclusione sociale, sulla stessa linea di partenza delle cosiddette persone normodotate, deve essere reso tempestivamente trasparente. Secondo: ogni privilegio, magari antico e ottenuto attraverso favori politici, è un diritto tolto ad una persona con disabilità che ne ha effettivo bisogno. Terzo: noi non siamo una spesa sociale improduttiva, noi siamo lavoro. Quel lavoro concreto e quotidiano che da più parti viene invocato, per aumentare la domanda interna, causa principale della recessione tecnica a cui è soggetto attualmente il nostro Paese.
Quarto: di fronte a questi chiari di luna politici ed economici, una riscoperta e rinnovata coesione, con relativa capacità di sintesi e di azione, diventa ogni giorno sempre più necessaria, affinché tutte le associazioni rappresentanti persone con disabilità ed i loro diritti, possano davvero essere incisive e penetranti in questa realtà sociale in continuo mutamento. Quinto: con decisione, effettiva partecipazione, a testuggine se necessario, dobbiamo compattamente difenderci, da chi con sotterfugi, anche di carattere burocratico, ci svaluta, ci scoraggia, con l'ormai chiaro intento di sottrarre risorse indispensabili alle nostre vite. Sesto: facciamo in modo che ogni associazione iscritta alla nostra federazione, diventi un valido supporto quotidiano, soprattutto per quel che concerne l'espletamento di spesso aggrovigliate pratiche burocratico amministrative, che rendono la vita di persone con disabilità e anziane difficilmente sostenibile. Una pesantezza quotidiana che non dovrebbe esistere, ma che ci è regalata, anche grazie a chi soprattutto in passato approfittava della propria condizione di disabilità, prestando il fianco così a chi intende sottrarre risorse alla nostra disponibilità. Settimo: uniamoci e se necessario mobilitiamoci, ma rendiamo concreto quel budget ad personam, composto da risorse socio sanitarie e socio-assistenziali, appropriate e sufficienti, a costruire nelle diverse fasi della vita, un cammino di inclusione sociale e di vita indipendente, in una società più accogliente per tutti.
Che tipo di rapporto si aspetta con il Comune di Milano?
Vorrei un dialogo costante e concreto, ove sia chiaro chi siamo e chi rappresentiamo; senza essere scavalcati da personalismi a volte anche poco rappresentativi. Vorremmo guardare dentro e discutere la riforma dei titoli sociali deliberata in agosto dal Comune di Milano.
Vorremmo contribuire a disegnare una burocrazia comunale più efficiente e per questo anche più efficace nel soddisfare innanzitutto i bisogni dei cittadini milanesi. Vorremmo diventare cittadini a pieno titolo, che vivono in una metropoli, che non concede più alcuna deroga, a chi deve abbattere le barriere architettoniche. Una città che quando costruisce edifici pubblici, metropolitane, e quant'altro, dica ad ingegneri ed architetti che presentano i loro progetti, che questi come prescrive la legge non saranno minimamente presi in considerazione, qualora non adempiano in modo appropriato anche ai bisogni di persone a vario titolo disabili. Questo e altro ancora, in un rapporto pieno di civile franchezza.