"Cosa è successo da quando mio figlio non ha più voluto frequentare il CDD"
Di fronte a un deciso rifiuto, la famiglia si è attivata per trovare una risposta alternativa. Una risposta efficace da tutti i punti di vista, ma troppo costosa.
Mi chiamo Giambattista Antonelli e abito a Lesmo. Ho un figlio, Federico, di 44 anni con handicap psichico che fino a tre anni fa ha frequentato un CDD, ma poi ha voluto uscirne. La sua storia mi sembra interessante e anche utile per chi si trova in situazioni come la mia e avrà la pazienza di leggere questo mio scritto.
Federico per una decina d’anni ha frequentato un CDD della zona, partecipando a tutte le gite e vacanze proposte. Tutto è andato abbastanza bene fino all’estate 2013. Non che tutto sia filato sempre perfettamente liscio, si sa come vanno queste cose: c’erano di quando in quando periodi di disagio che si manifestava con agitazione, nervosismo, aggressività verbale e così via. Cose che credo si manifestino in tutte le persone con queste caratteristiche. Nell’insieme però la situazione era abbastanza tranquilla.
Nel settembre 2013, al rientro dalle vacanze, Federico ha subito manifestato un insolito disadattamento e ansietà. Invece di attenuarsi e scomparire, come era già avvenuto in passato, queste crisi diventavano sempre più importanti e preoccupanti. Il periodo di Natale fu bruttissimo: ci furono arrabbiature furibonde e esplosioni di rabbia incontrollata, tanto che non si sapeva più cosa fare. Quando rientrò al centro, Federico era molto agitato e dopo un po’ cominciò a dire che non ci voleva più andare. Noi naturalmente si cercava di rabbonirlo e di persuaderlo a continuare a frequentare il CDD perché non avevamo altro da offrirgli. Fu tutto inutile: all’inizio della primavera disse che non ci sarebbe andato più e così fece.
Cominciò così il periodo di Federico sempre a casa che dura tutt’ora. Sempre a casa, perché da quel momento Federico abbandonò anche tutte le altre associazioni che frequentava, organizzate dal privato-sociale per ragazzi come lui a scopo di incontri di qualche ora o di vacanze.
Allora ci rendemmo conto che era la famiglia a dover prendere in mano la situazione e organizzammo intorno a lui una rete di sei persone che si occupassero di lui, per farlo uscire di casa e per fargli trascorrere un po’ del suo tempo nel modo a lui più congeniale. Federico gradì subito moltissimo questo cambiamento. Si tranquillizzò e in poco tempo diventò un’altra persona: non più agitazione, nervosismo e scatti di rabbia. Ora Federico è una persona calma e tranquilla, forse come non era mai stato. Convivere con lui è un vero piacere. È socievole, spiritoso, servizievole, aiuta in casa in piccole mansioni.
Certamente il suo handicap rimane, ma si manifesta in forme tollerabili: deve spesso essere aiutato, spesso non si capisce quello che dice ma bisogna prestargli attenzione lo stesso, bisogna accudirlo e rispondere nel modo giusto alle sue domande anche se non si comprendono e altre cose di questo genere, ma questo rientra nella normalità nel trattare con persone con difficoltà psichica.
Va tutto bene dunque? Si e no. C’è il problema dei costi. Le sei persone che ruotano intorno a Federico, non sono dei volontari. Quattro sono operatori di una cooperativa e due sono persone del paese, comunque retribuite. I contributi pubblici sono minimi e a carico della famiglia rimane un onere assai considerevole. Gli enti locali hanno messo a disposizione di questo servizio che abbiamo attivato per Federico un budget drasticamente inferiore rispetto a quello che veniva messo a disposizione del CDD quando Federico lo frequentava. Perché? Non riesco a capirlo. Federico non è andato via dal CDD per un capriccio, ma perché il CDD non gli forniva il servizio di cui aveva bisogno.
La famiglia si è attivata. Nella scelta di questo nuovo servizio hanno collaborato i Servizi Sociali del Comune e il personale del CDD, concludendo che la scelta fatta era la soluzione migliore. E allora, perché questa decurtazione del budget? Quello che chiedo è che, sotto il profilo economico, Federico venga trattato come se frequentasse ancora il CDD.
Qui finisce la mia storia. La conclusione che ne traggo è questa: per alcune persone con disabilità il CDD può essere sostituito dall’assistenza domiciliare con vantaggio per l’utente. Bisogna però che l’Ente Pubblico sostenga economicamente la famiglia almeno nella misura in cui lo sosteneva (o lo sosterrebbe) nella frequenza al CDD. Questo perché i vantaggi per la persona con disabilità che rimane nella famiglia col supporto di una adeguata assistenza domiciliare, sono uguali o superiori a quelli che può offrirgli la frequenza al CDD. Anche i costi sono confrontabili, anzi l’assistenza domiciliare costa forse qualcosa di più. Inoltre, a differenza del CDD la permanenza in famiglia, col supporto di un’adeguata assistenza domiciliare può prestarsi ad essere impostata in modo da affrontare e risolvere il problema del “Dopo di noi”. Ma questa è un’altra storia.
Giambattista Antonelli