Una professione in cerca d’autore: l’assistente educatore
Pubblichiamo una sintesi della tesi di laurea di Mattia Cresci, dal titolo “L’assistente educatore nella scuola. Una figura in evoluzione” .
La figura professionale dell’assistente educatore racchiude in sé le ambiguità del sistema scolastico ed assistenziale. Definire questa significherebbe indirizzare il cammino delle Istituzioni verso una meta ben chiara: una scuola integrativa o inclusiva? Una scuola attenta al paradigma medico-individualista o attenta al paradigma pedagogico-collegiale?
La figura dell’assistente educatore viene utilizzata, sempre più spesso dagli Enti, per favorire il processo d’integrazione delle persone con disabilità. È chiamata al dialogo con le altre figure specialistiche per costruire un percorso di autonomie e comunicazioni tra il soggetto portatore di una disabilità e lo spazio che lo circonda. Rappresenta una cerniera tra le necessità della persona e il contesto, tra l’ambito della cura assistenziale e quello educativo.
Restringere il suo raggio d’azione solo all’ambito puramente assistenziale significherebbe diminuire lo spazio del suo intervento all’aspetto del benessere psico-fisico. Allargarlo, comporterebbe un’attenzione maggiore all’aspetto educativo e progettuale, all’ambito socio relazionale e comunicativo. Se ciò avvenisse, si potrebbe riconoscere la sua maggior rilevanza educativa.
Tutto dipende da come si interpreta il concetto di “assistenza all’autonomia e alla comunicazione” che è espresso nella Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone con disabilità. La legge non prevede direttamente una figura professionale che possa svolgere il compito di assistenza, afferma semplicemente che gli enti locali sono obbligati a fornire l’assistenza. Anche il Decreto del Presidente della Repubblica n.616 all’articolo 42 non afferma la necessità di una figura professionale per l’assistenza ma evidenzia che l’assistenza può essere compiuta :
“mediante erogazioni o provvidenze in denaro o mediante servizi individuali o collettivi a favore degli alunni…l’assolvimento dell’obbligo scolastico”.
Come ben si denota la figura professionale dell’assistente educatore anche se non direttamente riconosciuta, si muove su una linea che ha per un estremo l’affermazione dell’assistenza e per l’altro l’affermazione della comunicazione e dell’autonomia. In un estremo si afferma il principio costituzionale di solidarietà e dall’altra parte il diritto all’istruzione e all’educazione.
Se gli opposti della linea sono ben riconosciuti come valori inviolabili ciò non vale per la figura professionale che li dovrebbe concretizzare nella sua azione.
Le sentenze del T.A.R. di Lombardia e Puglia affermano che la figura dell’assistente educatore è una figura esclusivamente di tipo assistenziale. L’insegnante di sostegno ha il compito di assolvere le funzioni didattico-educative e ciò “è esplicitazione del diritto allo studio e all’istruzione” mentre l’assistente educatore è esplicitazione dei servizi socio sanitari. Le sentenze, inoltre, evidenziano i compiti che questa figura deve rivestire:
“la figura professionale deve affrontare i problemi di autonomia e di comunicazione degli utenti con adeguati stimoli all’apprendimento delle abilità. Aiutano l’alunno a partecipare alle attività proposte dall’insegnate, favoriscono il rapporto con il resto della classe -per promuovere relazioni positive con i compagni-, collaborano con gli insegnanti assistendo alla programmazione delle attività didattiche e cooperano con la famiglia per attivare un proficuo e reciproco scambio a vantaggio del minore in difficoltà”.
È difficile chiarire quanto questi incarichi siano più assistenziali che educativi.
In ogni caso, l’esigenza di apposite figure professionali nacque, e tuttora si fonda, sul dare delle risposte concrete ai bisogni degli alunni che nei momenti in cui, in base al piano educativo individualizzato (PEI), il docente specializzato non è presente, dovrebbero svolgere quegli esercizi diretti ad aumentare il livello di autonomia e di integrazione dell’alunno, anche mediante attività parascolastiche o extra-scolastiche, escluse quelle di competenza dell’istruzione scolastica. (A.Avon, A scuola con l’handicap, cit.,p.104). Insomma, Il compito dell’assistente educatore si accompagna all’assistenza della persona con disabilità nel momento in cui è assente l’insegnante di sostegno.
Il professor Medeghini, nel suo libro “L’assistente educatore nella scuola. Una figura da ripensare”, vede questa figura professionale in evoluzione, inquadrata in un contesto sempre più educativo. Il professore collocherebbe questa figura professionale più sull’estremo dell’educazione che su quello dell’assistenza. La figura professionale dell’assistente educatore, infatti, è una figura che si colloca in un progetto che si attua all’interno dell’organizzazione scolastica e ciò comporterebbe che tale figura investa un alto impegno nelle interazione con gli insegnanti, gli specialisti e la famiglia. L’inserimento nel mondo della scuola richiederebbe, quindi, atteggiamenti collaborativi e cooperativi, competenze nella comunicazione, nella progettazione e nelle modalità di negoziazione dei significati e delle decisioni.
L’assistente educatore risulterebbe così inserito in una rete di interazioni che devono essere ricondotte alla persona con disabilità. Quindi, non solo una figura di assistenza ai bisogni primari, ma anche educativa a tutti gli effetti, in quanto si definisce e si concretizza ulteriormente all’interno del campo sociale, scolastico, inteso come area dei bisogni. È collocato sulla persona e sul suo contesto sociale. In questo caso il concetto di “assistenza alla comunicazione e all’autonomia” non è ripiegato su sé stesso come un cerchio chiuso tra operatore e persona con disabilità ma allargato ad uno spazio. Questa visione affermerebbe così il forte caratate educativo della professione che si sta indagando.
Il M.I.U.R. sembra non occuparsi di questa figura professionale. La risposta al diritto allo studio degli alunni portatori di disabilità è consegnata alla figura professionale dell’insegnante di sostegno, mentre la risposta alla cura igienica e agli spostamenti, la cosiddetta assistenza di base è consegnata al personale A.T.A. La nota di Protocollo Ministeriale n. 3390 afferma che rimane all’Ente Locale il compito di fornire l’assistenza specialistica da svolgersi con personale qualificato.
La Parola “assistenza specialistica” è di difficile interpretazione. Da una parte potrebbe indicare la figura professionale di uno specialista in logopedia, o in musicoterapia, o in psicologia, o in pedagogia o in educazione ecc. Dall’altra, potrebbe indicare l’assistente educatore o educatore scolastico che la cooperativa assume ricercandolo tra svariati titoli di studio dai diplomi alle lauree e riconoscendolo con un livello contrattuale massimo di C3 diversamente dalle altre figure che sarebbero riconosciute con un livello contrattuale di D1, D2, D3.
Altrettanto enigmatico sembra essere l’articolo 3 comma 4 del decreto legislativo recante norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità (378), emanato di recenete, quando afferma:
“entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuati i criteri per una progressiva uniformità su tutto il territorio nazionale della definizione dei profili professionali del personale destinato all’assistenza educativa e all’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale”.
Da una parte la lettera “e” che svolge la funzione di copula tra assistenza educativa e l’assistenza all’autonomia e alla comunicazione, sembra che evidenzi una diversità di funzioni tra l’educativo, la comunicazione e l’autonomia. Parrebbe, infatti, che ci sia un esperto per l’educativo e magari un altro per l’autonomia e la comunicazione.
Inoltre, sarebbe interessante capire se la figura professionale che verrà riconosciuta sarà più legata all’ambito dell’assistenza e cura o più legata all’ambito educativo comunicativo. Se risponderà al paradigma medico-individuale o al paradigma pedagogico sociale, se sarà una figura laureata, se le è riconosciuto un trattamento economico adeguato, oppure se sarà semplicemente il riconoscimento di una figura professionale già esistente senza un reale ripensamento.
Un altro aspetto che dovrebbe interessare prima delle deleghe e dei protocolli che determinano la prassi del futuro professionista dell’assistenza educativa o dell’assistenza all’autonomia e alla comunicazione, è capire quale sia l’idea di scuola futura. Infatti, se si parla di scuola inclusiva non si dovrebbe parlare di assistenza. Le parole del professor Medeghini e del gruppo di ricerca presso l’università di Roma 3, GRIDS- CESTREF, sono chiare e ben espresse anche nel libro “Disability Studies”.
Il concetto di inclusione prevede la presenza in classe di uno o più insegnanti oppure di un insegnante e un educatore i quali sono chiamati a stimolare le abilità di ognuno per costituire un sistema sostenibile in cui anche il più debole è partecipe. Non prevede la didattica classica, frontale. Non vuole riempire o eliminare i deficit. L’intera classe è chiamata a costruire un clima di solidarietà e a sostenersi nella comunicabilità e autonomia, formando quindi un’altra scuola.
Mattia Cresci, dottore in Scienze Pedagogiche