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Persone con disabilitą

A cura di Ledha

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28 Maggio 2015

Assistenza educativa e inclusione. Lo sguardo delle famiglie

di Maria Spallino

Le famiglie sono naturalmente disposte a dare fiducia e creare alleanze. Per questo chiedono informazione, trasparenza, comunicazione, onestą e tempestivitą.

Tutti a scuola di inclusione. Quali prospettive per l'educatore oggi?” è il titolo del convegno, organizzato dal Comune di Milano in collaborazione con il "Gruppo enti accreditati servizio di assistenza per alunni con disabilità", che si è svolto il 15 aprile scorso a Palazzo Marino. A nome di LEDHA, e come componente del gruppo di lavoro LEDHAscuola, ho voluto proporre durante il mio intervento lo sguardo delle famiglie. Quelle famiglie, in particolare, che si rivolgono a noi quando qualcosa nel meccanismo di inclusione dei loro figli si inceppa, se mai ha funzionato. 
Eppure questi alunni godono di diritti inalienabili. Il diritto all'istruzione è infatti un diritto fondamentale, soggettivo ed esigibile, incomprimibile da vincoli di bilancio. È garantito in particolare dalla Costituzione Italiana, dalla Legge 104/92 e dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006. Quest'ultima ribadisce tra l'altro concetti quali dignità, pari opportunità, diritto di esprimere il proprio potenziale e non discriminazione, espressi sin dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948.
La Convenzione ONU inoltre ci aiuta a mettere a fuoco un altro elemento, apparentemente secondario: l'uso delle parole. Perché le parole sono alla base di una reale inclusione scolastica (e non solo). La Convenzione indica con precisione quale sia la terminologia da adottare: non più disabili, portatori di handicap (“pdh”), diversamente abili (“dva”) o ancora “alunni H”. Semplicemente: persone con disabilità. È quindi ora che tutti, a tutti i livelli, adottiamo tale espressione.

Daniel Pennac nel suo “Diario di Scuola” scrive:
"C'è la madre che piange, ti chiama e piange in silenzio, e si scusa di piangere... un insieme di pena, preoccupazione e vergogna. A dire il vero provano tutte un po' di vergogna, e tutte sono preoccupate per il futuro del figlio.
"Ma che cosa diventerà?" La maggior parte di loro si fa dell'avvenire una rappresentazione che è una proiezione del presente sullo schermo angosciante del futuro. Il futuro come una parete dove sono proiettate le immagini smisuratamente ingrandite di un presente senza speranza, ecco la grande paura delle madri!"

Lo slogan del movimento internazionale delle persone con disabilità (“Nulla su di noi senza di noi”) evidenzia che la persona con disabilità non può essere esclusa dalle decisioni che le riguardano. Per questo le famiglie chiedono informazione, trasparenza, comunicazione, risposte, onestà e tempestività. Che devono essere fornite spontaneamente dalle istituzioni e non solo a seguito di pressanti richieste.
Le famiglie sono naturalmente disposte a dare fiducia e creare alleanze. Sanno leggere, meglio di chiunque altro, i bisogni dei propri figli e posseggono un patrimonio ineguagliabile di competenze ed esperienze. Sono altamente motivate a fare sempre il meglio per il benessere del proprio figlio. Per tutti questi motivi la scuola non può prescindere dal loro coinvolgimento nel progetto educativo. 

Sono quindi fondamentali, anche nella scuola, lavoro di rete, collaborazione e co-progettazione tra gli attori del progetto di vita di cui il PEI è parte integrante. Possiamo rappresentare la famiglia come un polipo che con i suoi tentacoli cerca affannosamente di mantenere i vari interlocutori attorno a un tavolo. E per affrontare (e risolvere) i tanti problemi relativi al diritto all'istruzione dei bambini e dei ragazzi con disabilità occorre una cabina di regia stabile.

Le famiglie si rivolgono a noi di LEDHAscuola quando non hanno un'associazione cui fare riferimento o non trovano risposte nell'associazione. Quando scoprono che i bisogni del proprio figlio non vengono riconosciuti, rispettati o soddisfatti. Spesso, solo tramite il passaparola tra i genitori (pratica assai diffusa per ottenere informazioni tra i familiari di persone con disabilità) scoprono che esiste un diritto all'inclusione del proprio figlio che non viene rispettato. Oppure scoprono che le risorse e le attività previste sono insufficienti o inadeguate. Le famiglie arrivano a noi quando non sono (più) disposte ad accettare compromessi “imposti” senza consapevolezza e senza condivisione, ma con decisioni unilaterali o fatte passare per “gentili concessioni”.
Le famiglie spesso si aggrappano alla legge per ottenere un servizio in termini quantitativi e non qualitativi. Come se la qualità, competenza, formazione, motivazione fossero elementi soggettivi. Prevalentemente si concentrano sulla figura dell'insegnante di sostegno perché resiste tuttora il concetto di “scuola = didattica”.

Troppo spesso, invece, si tralascia l'importanza del ruolo dell'educatore: figura tutt'altro che marginale e men che meno il tappabuchi dell'insegnante di sostegno. È proprio con l'educatore che spesso si stringono più facilmente alleanze. Svincolato dalla necessità di svolgere un programma ministeriale, ha compiti diversi da quelli di un insegnante, di sostegno o curricolare, pertanto non deve essere mai considerato un loro sostituito o "succedaneo". Inoltre l'educatore crea un ponte con la famiglia privo di sovrastrutture: a separarlo dalle famiglie non c'è una cattedra, il rapporto non è "ingessato" L'educatore è una risorsa preziosa per l'alunno e per la famiglia perché, partendo dalle abilità residue favorisce l'acquisizione di capacità e competenze relazionali, emotive, affettive, cognitive indispensabili per la vita e la partecipazione sociale. La scuola, infatti, è la prima palestra di vita sociale in cui i nostri figli “si fanno i muscoli”.

Il “buon” educatore è, prima ancora che costruttore di opportunità, demolitore di stereotipi. Attinge quotidianamente alla propria capacità di mettersi in gioco e si lascia stupire, pronto a raccogliere anche il minimo segnale di apertura nell'alunno che gli è affidato. Lavora spontaneamente con il gruppo classe, evitando ogniqualvolta possibile di confinare la propria attività in uno spazio esclusivo, proprio perché è "con gli altri" che l'alunno con disabilità impara a comunicare, confrontarsi, sperimentare tanto la propria autonomia quanto la partecipazione sociale.
Ma per essere veramente efficace, l'educatore deve essere formato, deve partecipare alla programmazione, al GLHO, alla stesura del PEI. (concetti ribaditi anche nell'attuale Bando di accreditamento del Comune di Milano per soggetti erogatori di assistenza educativa per alunni con disabilità). Co-progettare significa attingere a saperi diversi e riconoscere il valore delle competenze degli altri attori del progetto educativo, nel rispetto del ruolo di ciascuno. Inoltre l'educatore deve poter comunicare direttamente con la famiglia così come avviene o dovrebbe avvenire con l'insegnante di sostegno, deve poter accedere alla documentazione relativa all'alunno o studente con disabilità.

Il PEI è lo strumento mediante cui è definito il percorso scolastico di un alunno con disabilità. È il documento che esplicita le effettive esigenze, da cui non è possibile prescindere nell'attivazione delle risorse e degli strumenti necessari al successo formativo. È tanto più calibrato e funzionale quanto più raccoglie i contributi di tutti coloro i quali investono sull'alunno, favorendone il raggiungimento di obiettivi condivisi.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una progressiva riduzione dell'assegnazione di risorse per l'inclusione in termini di ore di sostegno e di assistenza educativa. Ci si chiede come sia possibile impostare e svolgere un lavoro effettivamente significativo per l'alunno assegnando solo due o tre ore settimanali, non sempre attivate dal primo giorno di scuola.

“Non c’è nulla di più ingiusto che far parti uguali tra disuguali" (Don Lorenzo Milani, “Lettera a una Professoressa -  I ragazzi della Scuola di Barbiana”).

In conclusione: proprio quando le risorse sono scarse occorre investire sui più deboli, a meno che si voglia rimandare nel tempo, e con oneri maggiori, la questione. Rimandarla agli anni che verranno quando i bambini e i ragazzi con disabilità di oggi saranno cittadini adulti non in grado di partecipare alla vita della società.

"Gli interventi dei relatori al Convegno Tutti a Scuola di Inclusione. Quali prospettive per l'educatore oggi?" sono disponibili a questo link.

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