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Persone con disabilitą

A cura di Ledha

Archivio opinioni

7 Maggio 2015

Pensiamoci per tempo

di Elena Faglia

L'esperienza di una mamma: "Una diagnosi scatena sentimenti dolorosi, difficili da rielaborare, proprio negli anni in cui serve grande luciditą per scegliere il percorso terapeutico e riabilitativo pił adatto".

A partire dal momento della diagnosi di una qualsiasi disabilità per il proprio figlio, i genitori sono investiti da sentimenti dolorosi (a volte distruttivi) che è difficile rielaborare. Proprio negli anni in cui sarebbe più importante avere quella lucidità che serve a scegliere il percorso educativo e terapeutico più adatto al loro bambino. Quando il bambino comincia poi il suo inserimento scolastico, le ansie e i dubbi si moltiplicano, generando a volte pericolosi sensi di colpa che possono spingere i genitori ad affidarsi istintivamente a persone poco oneste o a venditori di sogni.


Per questo vorrei riportare la mia esperienza di mamma che, alla presenza di una diagnosi piuttosto severa nei riguardi della mia bambina, ha visto stravolgersi completamente i propri progetti e ripartire da zero. O meglio, da sottozero.
Nella sfortuna che aveva toccato mio marito e me, la vita ha voluto offrirci una seconda possibilità, in un certo senso. Mentre portavamo L. presso l’Uonpia (Unità operativa di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza) di appartenenza per dei cicli di fisioterapia e di psicomotricità (siamo intorno al 2001), una terapista ci ha indirizzato presso una cooperativa privata che cominciava allora ad occuparsi di bambini con autismo grave. Lì abbiamo subito incominciato un percorso di riabilitazione domiciliare e poco dopo abbiamo fatto partire un intervento di supporto e formazione alle insegnanti di sostegno anche alla scuola dell’infanzia. È cominciato così un percorso di vita che aveva come obiettivo l’inclusione scolastica di L., il suo e il nostro benessere.


Le inevitabili discussioni, soprattutto con la dirigente scolastica, sono state mediate da questa figura di educatrice che aveva ben chiaro il progetto terapeutico e riabilitativo di L. in tutti gli ambienti: casa, scuola, terapisti, medici.
Durante il passaggio alla scuola primaria è stato molto curato il passaggio di informazioni sullo stato della bambina, in modo che le nuove insegnanti potessero sapere con anticipo le informazioni essenziali su di lei. Nonostante questo lavoro, ci sono state molte difficoltà durante il primo anno, proprio perché le insegnanti non avevano idea di come relazionarsi con la bambina e di quali attività svolgere con lei. Abbiamo costruito allora il vero e proprio progetto di vita, affidandoci interamente agli educatori della cooperativa. Essi hanno attivato, con il consenso della dirigenza, un vero e proprio percorso formativo con i docenti e i compagni, recandosi periodicamente a scuola e verificando lo stato di attuazione del progetto. Hanno spesso evitato pericolosi fraintendimenti e mediato su argomenti di conflitto tra noi genitori e loro come scuola.

È stato bello vedere come i risultati positivi che gradualmente arrivavano dessero incoraggiamento a tutti e generassero un rapporto di stima e collaborazione tra le varie figure educative che si alternavano al fianco di L. Qualunque tensione poteva essere sciolta, grazie a questo delicato lavoro di mediazione e di formazione sul campo che ha permesso di aprire una strada anche per altri bambini con forme di disabilità molto simili, relativamente alla comunicazione. 


In pratica, il nostro progetto in pochi anni ha dato esiti positivi non solo per la nostra bambina e per noi, che abbiamo potuto vivere più serenamente il rapporto con la scuola, ma ha costituito anche la strada maestra sulla quale alcuni insegnanti hanno acquisito competenze utili per altri bambini e hanno stabilito una rete di utili conoscenze con terapisti e associazioni specifiche che lavorano seriamente su disabilità e comunicazione.
Ancora più importante è stato il contributo di questi educatori nel passaggio alla scuola secondaria inferiore (scuola media). L. aveva già iniziato un lavoro terapeutico pomeridiano presso il centro diurno della cooperativa e durante gli anni della scuola media abbiamo potuto armonizzare le attività svolte al mattino a scuola, spesso con l’aiuto dei compagni che si trasformavano in preziosi tutor, con ciò che L. faceva al pomeriggio al centro o con le attività sportive che cominciava a praticare. Nulla è stato lasciato al caso, tutto è stato predisposto e monitorizzato dagli educatori della cooperativa, per evitare pericolose incompatibilità di metodo nelle varie attività e per dare sempre supporto e counseling ai vari educatori della ragazza.

Nel frattempo, come genitori, ci siamo mossi per pensare alla costruzione del futuro di adolescente di L. e abbiamo progettato l’attivazione di un centro diurno specializzato sull’autismo per adolescenti insieme alla cooperativa. Dopo tre anni e mezzo di battaglia con le istituzioni, ora con orgoglio, il Centro è stato convenzionato col Comune di Milano. La ASL e noi genitori, dopo aver portato a termine l’inclusione scolastica di L. fino ai 16 anni, l’abbiamo inserita gradualmente a tempo pieno nel Centro diurno Disabili “Spazio giovani autismo”.


Il nostro progetto di vita ha funzionato bene perché tutti i protagonisti di questo lavoro hanno collaborato, hanno imparato a parlarsi, hanno imparato anche pratiche metodologiche nuove, si sono formati e non si sono sentiti abbandonati. Noi genitori per primi siamo stati aiutati a reagire positivamente a una diagnosi molto pesante, anche grazie a gruppi di auto mutuo aiuto tra genitori. Ed ora molte coppie di genitori si conoscono e si aiutano a vicenda. Siamo usciti dall’isolamento.
Negli anni a venire ci apriremo alle prospettive future: spingeremo per l’evoluzione degli stessi Centri diurni, al fine di portare gradualmente questi ragazzi a vivere il loro territorio, a frequentare ambiti cittadini a loro graditi (sportivi, ricreativi, laboratoriali…), a esprimere le loro potenzialità lavorative ove sia possibile, insomma a vivere in modo sempre più autonomo e dignitoso, magari in esperienze di co-housing sociale, nelle quali la solidarietà umana dia avvio a concrete esperienze di inclusione e di vita indipendente.

Per concludere, quindi, incoraggio i genitori ad attivarsi per cercare sul territorio qualsiasi realtà seria che lavori sulla disabilità, sia per costruire un progetto di vita adeguato per i loro figli, sia per “fare gruppo” e sostenersi reciprocamente. Attualmente il CDD “Spazio diovani autismo” ha dieci posti riconosciuti e convenzionati, utilizzati da 12 ragazzi (alcuni in part-time perché frequentano le scuole superiori).  Stiamo costruendo ancora il futuro dei nostri figli, consapevoli che solo insieme potremo ottenere risultati positivi.

Elena Faglia - Gruppo Ledha Scuola e ANGSA Lombardia onlus

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