BES e personalizzazione degli apprendimenti: dall'Emilia Romagna indicazioni ed idee per il cambiamento
L'analisi del testo pubblicato dall'Ufficio scolastico regionale emiliano.
Come Gruppo LEDHAscuola rivolgiamo un invito particolare a quanti, docenti, educatori e genitori, si interessano al tema dell'inclusione scolastica, affinché leggano il contributo comparso a fine agosto 2012 sul sito dell'Ufficio Scolastico Regionale dell'Emilia Romagna, a firma del vice direttore generale Stefano Versari. Lo abbiamo trovato a questo link, preceduto da un'altra nota regionale a firma dello stesso autore, pubblicata a fine maggio e altrettanto meritevole di attenzione, sempre sul tema Bisogni educativi speciali (BES). Quello che colpisce (piacevolmente) delle prese di posizione dell'Ufficio Scolastico Regionale emiliano è l'indipendenza di giudizio.
In un anno si sono succeduti quattro testi ministeriali sull'argomento Bisogni educativi speciali: la Direttiva sui BES del 27/12/2012 a firma del Ministro F. Profumo; la Circolare 8 con le Indicazioni operative del 6/3/2013 a firma del Capo Dipartimento Istruzione L. Stellacci; la Nota 1551 del 27/6/2013 sul Piano annuale per l'inclusione o PAI, sempre a firma Stellacci , (quando ormai stavano per scadere i termini per la stesura di questo Documento da parte dei neo-costituiti Gruppi di Lavoro per l'Inclusione o GLI di Istituto) e, da ultimo, la Nota 2563 del 22/11/2013, contenente "Chiarimenti" sugli strumenti di Intervento per alunni con BES. A.S. 2013/2014, a firma del nuovo Capo Dipartimento Istruzione L. Chiappetta.
I testi dell'USR Emilia Romagna non inseguono le mode del momento e non si affannano a citare/chiarire/interpretare i testi ministeriali che nell'ultimo anno hanno anno più volte detto e contraddetto se stessi, dando esempio complessivo di poca chiarezza e funzionalità comunicativa non solo agli addetti ai lavori, ma anche a tutti gli altri "portatori di interesse" sull'argomento. Tra cui le nostre famiglie e le nostre associazioni di famiglie.
Il documento emiliano esce poi alla fine dell'interruzione estiva (anche la tempistica ha la sua importanza), per offrire un interessante materiale di riflessione e utili indicazioni operative soprattutto ai docenti, prima dell'inizio del corrente anno scolastico, in tempo utile per la programmazione che la legge colloca nella prima parte del mese di settembre, prima dell'inizio delle lezioni.
L'impianto del testo è organico, la forma è semplice e chiara, il ricorso a citazioni, anche dei testi ministeriali, è ridotto al minimo ed è funzionale solo alla documentazione e alla comprensione: un bell'esempio di buona prassi di "servizio pubblico". L'autore torna sul tema dell'inclusione, come nel primo documento, approfondendolo anche alla luce del dibattito internazionale sull'argomento (v. Documenti Unesco sull' Education for all di Drakar 2000 e Ginevra 2008): più che di "bisogni speciali" nei testi Unesco si parla di "diritti educativi essenziali", spostando il focus sull'offerta formativa, che deve garantire a tutti gli educandi pari opportunità. Non basta che l'educazione "consenta a un maggior numero di persone di frequentare contesti scolastici". Occorre che essa "fornisca risultati efficaci". In molti Stati, anche europei, si è ampliata l'offerta scolastica, "mantenendo tuttavia la distinzione tra percorsi comuni (e quindi normali) e percorsi differenziati (e quindi speciali)", ma "soltanto nelle scuole inclusive gli insegnanti sono tenuti a modificare i loro stili di insegnamento per incontrare lo stile di apprendimento di ciascun allievo".
Quindi, i primi passi che deve fare un'istituzione scolastica sono quelli relativi all'effettiva inclusività della scuola e sulle capacità inclusive dei docenti: a questo proposito il testo trae ancora una volta spunto da un documento, intitolato "Profilo dei docenti inclusivi", pubblicato nel 2012 dall'European agency for development in special needs education, la cui lettura viene suggerita come utile per la stesura del PAI da parte delle scuole.
Saper valutare le diversità di tutti gli alunni e concepirle come risorsa e non come problema; sostenere gli allievi e coltivare aspettative alte sul loro successo, impegnandoli in attività di apprendimento qualitativamente significative, utili e importanti; lavorare in gruppo con i colleghi; conoscere i percorsi tipici e atipici della crescita degli allievi; incentrare la valutazione sui punti di forza degli allievi, rifuggendo da classificazioni e catalogazioni delle loro difficoltà, che possono avere un impatto negativo sulle loro opportunità di apprendimento; concepire l'insegnamento come un'attività di apprendimento continuo, grazie ad un aggiornamento professionale permanente.
Alla luce di questi valori di riferimento il PAI di Istituto dovrebbe configurarsi come un vero e proprio piano formativo della scuola, che si prefigge come obiettivi l'unitarietà di un approccio educativo condiviso da parte di tutti i docenti; la continuità dell'azione educativa anche in caso di variazione dei docenti e del dirigente scolastico; la riflessione collegiale sulle modalità educative e sui metodi di insegnamento adottati dalla scuola e l'individualizzazione delle modalità di personalizzazione risultate più efficaci.
Il PAI che si ispira a questi valori non serve quindi per fare la "conta" degli alunni problematici, ma per avviare le azioni necessarie per affrontare i problemi rilevati ed effettuare riflessioni sulle modalità educative e di insegnamento: solo inquadrando ciascun percorso educativo e didattico in un quadro metodologico condiviso e strutturato si possono evitare improvvisazione, frammentazioni e contraddittorietà degli interventi dei singoli insegnanti ed educatori, non documentati o non supportati scientificamente.
La libertà di insegnamento sancita dalla nostra Costituzione - si afferma emblematicamente nel Documento - "non fornisce un via libera assoluto e acritico verso qualsiasi scelta (o anche verso il nulla fare). La libertà di insegnamento va correttamente intesa come responsabilità di insegnamento: il docente è libero di scegliere tra le strategie più efficaci quelle ritenute idonee a garantire il successo di ciascun allievo. Non si possono scegliere strade che non diano risultati efficaci e documentati".
Significativa anche la definizione del ruolo delle famiglie: "Una forte alleanza con le famiglie è condizione essenziale per la riuscita dei percorsi di personalizzazione (così come dell'educazione e dell'insegnamento tout court)". Compito di una scuola inclusiva è fornire criteri educativi condivisi con le famiglie: "al di là della necessità di condividere ciascun PEI o PDP con le famiglie degli allievi cui si riferiscono, vi è la necessità di condividere con tutte le famiglie i criteri di intervento e di azione per la personalizzazione, proprio perché questa è una necessità che potrebbe presentarsi a qualunque allievo e che potrebbe richiedere la collaborazione attiva di tutta la comunità educante".
Il testo emiliano fornisce successivamente importanti riferimenti, per la stesura del PAI come parte organica e non aggiuntiva del Piano dell'Offerta Formativa della scuola, in merito alla modalità di identificazione delle necessità di personalizzazione dell'insegnamento; ai criteri di stesura dei Piani personalizzati (PDP), della loro valutazione e modifica; alla modalità di tutela della riservatezza; alla definizione delle responsabilità dei vari attori del processo e delle collaborazioni interistituzionali. Non mancano anche importanti suggerimenti sull'uso delle risorse professionali della scuola e delle scuole in rete (v. "prestito professionale" tra scuole), sulla razionalizzazione delle risorse esistenti e sulla ricerca di fondi.
La parte finale del Documento è tutta sui Piani Personalizzati (i cosiddetti Piani Didattici personalizzati o PDP) e, in generale, sul tema della personalizzazionedell'insegnamento/apprendimento, capacità ancora non acquisita dalla generalità degli insegnanti e condizione necessaria invece per realizzare una scuola inclusiva nei fatti e non solo a parole.
L'aspetto più insidioso, censurato da subito dal Documento dell'USR Emilia, è la "riduzione in schede"e "la riduzione delle persone a problemi". Anche il linguaggio usato ha il suo peso: in pochi mesi, denuncia l'autore, è entrata nell'uso comune l'espressione "ragazzi BES", definita giustamente come "non accettabile e non rispettosa". Aggiungiamo noi: per un uso improvvido e acritico delle disposizioni ministeriali che, per prime, hanno fatto ricorso alle definizioni.
“Coloro che lavorano nella comunicazione educativa- afferma Versari - hanno il dovere di usare un linguaggio attento alle persone". Ne sanno qualcosa i nostri figli che, dopo aver subito le accezioni più svariate di "handicappato", "portatore di handicap", "down" ,"autistico", "disabile" o "diversamente abile" che dir si voglia, avrebbero oggi l'ambizione di sentirsi chiamati semplicemente solo con il proprio nome e cognome, come tutti gli altri ragazzi.
Cattivo esempio di "ansia" classificatoria l'hanno data da subito Direttiva e Circolare sui BES, distinguendo tra BES 1, 2 e 3. Gli alunni con disabilità come facenti parte del primo gruppo; quelli con DSA, disturbi specifici dell'apprendimento, del secondo gruppo e nel terzo gruppo tutti gli altri: gli alunni con disturbi dell'attenzione e del comportamento (Adhd), con disturbi intellettivi borderline (Fil, ovvero Funzionamento intellettivo limite), quelli con disprassie, disturbi del linguaggio e non verbali, ecc. e il grande gruppo dello svantaggio socioculturale, linguistico ed economico, in cui ci sono gli "stranieri" che presentano consistenti difficoltà di apprendimento.
Anche l'ultima Nota Ministeriale, la 2563 del 22/1172013, emanata dopo sofferta "gestazione" (ne circolava da mesi una bozza sul web) non fa differenza.
Dopo aver (giustamente) affermato che "la personalizzazione degli apprendimenti, la valorizzazione delle diversità, nella prospettiva dello sviluppo delle potenzialità di ciascuno sono principi costituzionali del nostro ordinamento scolastico recepiti nel DPR 275/99 laddove è detto che "Nell'esercizio dell'autonomia didattica le istituzioni scolastiche...possono adottare tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune e tra l'altro: l'attivazione di percorsi didattici individualizzati, nel rispetto del principio dell'integrazione degli alunni nella classe e nel gruppo...", l'ultima Nota Ministeriale di fine novembre si contraddice palesemente nei due paragrafi successivi (sul PDP e sugli "Alunni con cittadinanza non italiana") in cui avvia, nel testo e soprattutto nella Nota 1 in calce, un'elaborata distinzione tra semplice "diagnosi" e "certificazione".
Solo la certificazione "attesta il diritto dell'interessato ad avvalersi delle misure previste da precise disposizioni di legge" ovvero - aggiungiamo noi- insegnante di sostegno e PEI per l'allievo con disabilità ex. L.104/92 e PDP con misure dispensative e compensative per i DSA ex L.170/2010. "Per i disturbi ed altre patologie non certificabili (disturbi del linguaggio, ritardo maturativi, ecc.) ma che hanno un fondamento clinico, si parla di "diagnosi"".
Per gli alunni che hanno solo una diagnosi e non una certificazione ma presentano importanti (e non "ordinarie" ) difficoltà di apprendimento il Documento Ministeriale suggerisce la stesura di un PDP, sulla base di fondate e verbalizzate argomentazioni pedagogico-didattiche, con "eventuali strumenti compensativi e/o misure dispensative". Peccato che poi la Nota non ricordi agli interessati quanto specificato nella Circolare 8, cioè che la dispensa dalle prove scritte di lingua straniera è consentita solo per i certificati DSA e non per tutti i disturbi clinicamente diagnosticati.
“Una mera difficoltà di apprendimento non dovrebbe indurre all'attivazione di un percorrso specifico con la conseguente compilazione di un PDO" e, nel caso degli alunni stranieri -aggiunge la Nota - ciò dovrebbe avvenire solo "in via eccezionale" e temporaneamente solo per i pochi alunni di recente immigrazione provenienti da paesi non di lingua latina (circa 5000, a fronte di 750000 alunni di cittadinanza non italiana frequentanti le nostre scuole).
Come si vede, l'asserita "discrezionalità" dei docenti "sulla decisione in ordine alle scelte didattiche, ai percorsi da seguire ed alle modalità da seguire" si scontra nello stesso testo della Nota con indicazioni ministeriali che, pur essendo a parole non prescrittive e proposte come suggerimenti, filtrano messaggi differenti, dando poco spazio alla libertà di scelta.
Liberta invece che i docenti, in merito alla personalizzazione e all'individualizzaione dell'insegnamento, si sono invece vista riconosciuta non solo dalla Legge 517/77, dai Programmi della Scuola Media del 1979, dalla Legge 104/92, dal già citato DPR sull'autonomia scolastica 275/99, ma anche, da ultimo, dalla Riforma Moratti (v. Legge 53/03 artt. 1 e 2) e dalla Legge 170/10).
Nella Nota dell'USR Emilia Romagna niente di tutto questo, ma solo indicazioni pedagogico-didattiche, queste sì utili a far crescere gli insegnanti in autonomia, consapevolezza, efficacia e senso di responsabilità e autorevolezza in ordine al loro specifico ruolo. Nei PDP occorre sì segnalare eventuali difficoltà o problemi con "accurate descrizioni di comportamenti osservabili e dei contesti in cui si realizzano" ma nel contempo descrivere i punti di forza, le abilità e le capacità presenti, perché è su di essi che un educatore, degno di questo nome, deve far leva per produrre il cambiamento. L'attenzione alle aree di vocazionalità, agli interessi e agli stili di apprendimento è ulteriore elemento utile per facilitare l'apprendimento, come la valutazione dell'efficacia del lavoro svolto che, per essere formativa, deve fornire precise indicazioni sul cosa, sul quanto, sul come, sul perché e rispetto a quali standard previsti si è operata la verifica. Anche gli obiettivi, in una simile programmazione, devono essere realistici, significativi, razionali e funzionali alla qualità di vita presente e futura dell'allievo.
Importante il riferimento alla "matrice comunitaria" dei problemi e delle difficoltà dentro alla scuola, con un richiamo a esaminare problemi e difficoltà dentro la scuola "considerando non soltanto il comportamento di un singolo allievo ma anche definendo le condizioni del contesto in cui il problema si manifesta, ivi comprese le modalità che i vari insegnanti adottano per farvi fronte" e utile l'esemplificazione di situazioni problematiche con cui i docenti debbono confrontarsi nella loro attività quotidiana e la proposta di alcune modalità di intervento per farvi fronte.
Concludendo, invitiamo i lettori a leggersi tutto il testo e ad utilizzare il serbatoio di suggerimenti formativi contenuti non solo nei Documenti USR, ma anche nel prezioso apparato di documenti che l'Ufficio Scolastico emiliano mette a disposizione di tutti, senza password o autenticazioni di sorta. Questa è trasparenza, accessibilità e usabilità, questo è autentico "servizio pubblico".