Disabilità e sterminio nazista.
Una giornata non basta!
Da qualche anno a questa parte, la Giornata della Memoria è sempre di più l'occasione per riportare alla luce il fatto che, tra le vittime dello sterminio nazista ci siano state anche le persone con disabilità. Il programma "Aktion T4", che ha portato all'uccisione di circa 300mila persone con vari tipi di disabilità (ma il dato potrebbe essere superiore) aveva conosciuto i suoi prodromi non appena Hitler era arrivato al potere, nel 1933, ed è proseguito anche dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
A mio parere ci si è interrogati ancora troppo poco, non solo su come tutto ciò sia stato possibile e sui silenzi colpevoli. Ma soprattutto sui meccanismi sociali e culturali attraverso cui, piuttosto facilmente, il gerarca e il medico nazista si trovino d'accordo con l'uomo della strada sul fatto che, quelle delle persone con disabilità, fossero "vite indegne di essere vissute". Peraltro, siamo proprio sicuri di poter relegare questa percezione solo a quel passato?
In ogni caso, i diritti umani non esistevano, hanno cominciato ad esistere proprio dopo la tragica esperienza nazista. A fare memoria sulle ragioni e sulle meccaniche di questo "sterminio dimenticato" hanno cominciato (non solo in Italia e molti anni dopo quei fatti) le persone con disabilità stesse, associazioni e movimenti ad esse legate. Quell'esperienza storica, non solo doveva essere conosciuta, ma esprimeva, emblematicamente e alla massima potenza, forme di stigmatizzazione, discriminazione, internamento e violenza di varia natura che le persone con disabilità hanno continuato a conoscere, anche nei decenni successivi e conoscono anche oggi nell'epoca della Convenzione Onu su diritti delle persone con disabilità.
Ovviamente (e ci mancherebbe) non siamo di fronte ai centri di internamento e morte della Germania nazista. Purtroppo, però, alcuni casi li ricordano da vicino. Come è emerso negli ultimi anni di alcuni grandi istituti di internamento di persone disabili, oppure come accade negli Ospedali psichiatrici giudiziari. La cronaca e alcune inchieste hanno portato alla luce situazioni drammatiche, da lager nazista. Il mondo della disabilità per primo dovrebbe cominciare a conoscere, discutere, mobilitarsi attorno a questi persistenti lager dell'oggi.
Il testo di legge che istituisce la Giornata della Memoria non indica la necessità di ricordare che tra le persone sterminate ci fossero quelle con disabilità (né rom, né sinti, né persone omosessuali). Ma le manifestazioni che si sviluppano attorno al 27 gennaio, sempre di più, raccontano anche questi altri stermini. A ricordarci quei tragici eventi sono associazioni, amministrazioni pubbliche e persino la televisione con lo spettacolo di Marco Paolini "Ausmerzen" già qualche anno fa e spesso riproposto. Sempre di più queste occasioni devono essere un momento per informare e fare conoscere ciò che la gran parte del senso comune, o i ragazzi delle nostre scuole, ignorano ancora.
Ma attenzione alla retorica del ricordo! Le manifestazioni legate alla Giornata della Memoria devono essere un avvio, non un approdo. Non deve essere la tradizionale occasione per mettere in pace le coscienze individuali e collettive consumando l'obolo offerto alla Storia e alle vittime dello sterminio. Fare memoria è un'operazione lunga, che parte dalle domande ancor prima che della risposte. Fare memoria è un'operazione che non si conclude in un giorno, che ha in mente il passato ma parte sempre dal presente. È un'operazione che si fa con la ricerca (non necessariamente accademica), con la riflessione condivisa e con il confronto tra persone, situazioni ed esperienze. Non è qualcosa che si consuma sui blog o i social network.
Matteo Schianchi