Ognuno al proprio posto
Sotto la pioggia battente si vedono gli stop eccitati, e poi le quattro frecce...
Anche da questa distanza, nell'andirivieni del tergicristallo, lo riconosco al volo: le strisce verdi e nere non possono mentire, e nemmeno i loghi bucolici impressi dietro: grappoli, margherite indaco, quadrifogli...E' una delle tante tappe mattutine di un servizio nascosto, praticamente impercettibile se non ci fai caso. Ma se riconosci i furgoni, allora ti rendi conto che la mattina fin verso le dieci e il pomeriggio dopo le tre è come un gran formicaio di veicoli che vanno e vengono, che fanno la spola in andata e ritorno. Se si avesse uno schermo su cui seguire la traccia lasciata da ciascuno dei furgoni, apparirebbe ogni giorno la mappa sociale del territorio, o almeno di una sua parte significativa: le abitazioni delle persone con disabilità e i servizi a loro dedicati, collegati, appunto, dalla ragnatela del trasporto sociale.
Ogni tanto la coda al semaforo presenta i suoi vantaggi, come quello di poter guardare con calma a ciò che succede lì davanti; illuminata dalle luci intermittenti dell'emergenza, si svolge una scena come tante: una donna scende riparandosi la testa dalla pioggia, suona il campanello, attende qualche istante, e poi dal cancello appaiono due altre persone. In questo caso non c'è carrozzina, ma le posture - anche da distanza - difficilmente ingannano: una mamma anziana, o una zia, con il proprio ragazzone. Una carezza, fai il bravo, ci vediamo stasera; un saluto fugace all'accompagnatrice. Le sagome ritornano ai loro posti, il furgone s'intrufola lentamente a sinistra e ricompone diligente la coda a due macchine dalla mia; tra le gocce, ombre cinesi di saluto, batti il cinque, frammenti di risate.
Una scena ordinaria di scuolabus, solo che qui le persone trasportate hanno superato di un bel pezzo quell'età; sono giovani e adulti che frequentano, almeno per qualche ora, centri diurni, istituti di riabilitazione, centri di formazione professionale, servizi per l'autonomia, cooperative sociali, imprese. Le destinazioni dei mezzi del trasporto sociale sono in effetti le più varie, sia per tipologia che per distanza kilometrica, perché la prassi consolidata nei servizi sociali è ancora quella di costruire un progetto il più possibile personalizzato, adatto alle capacità e alle potenzialità di ciascuno. Con l'esperienza e con il contrarsi delle risorse a disposizione è certamente aumentata l'attenzione a comporre razionalmente i trasporti, a cercare soluzioni pratiche e sostenibili; ma nonostante tutto, la sostanza non è mutata di molto e il mezzo che ho davanti ne è una testimonianza evidente.
Il tergicristallo mattutino, si sa, consente uno stato di coscienza ancora molto simile al dormiveglia: pensiero lungo, e tranquillo, sulle cose. E così sulla retina c'è un furgone, ma io intravvedo civiltà, rispetto della dignità di ciascuno, diritti. Attraversano la strada le sillabe dell'articolo 3 della costituzione: "Compito della Repubblica è rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo di ogni persona umana". Fare uscire dalle case le persone con disabilità del proprio territorio, pensare insieme a un progetto di vita, tendere all'infinito verso un'autonomia possibile o impossibile, costruire luoghi di socialità, formazione e lavoro vero. Son cose che forse diamo un po' troppo per scontate, ovvio che ci siano. Ma non è così: son conquiste, è welfare, è civiltà. Con tutti i limiti del caso, per carità: sappiamo di quante lentezze, inciampi burocratici e ottusità siamo capaci.Ma ogni tanto è bene gustarci appieno quale significato e quali profonde radici ci siano dietro un gesto quotidiano e feriale come dare un passaggio su un autoveicolo a nove posti. Non è un semplice scuolabus.
Il clacson dietro di me intende farsi rispettare. La coda, infatti, si sta muovendo.
Furgone a sinistra, io dritto. Ognuno al proprio posto.
Oliviero Motta
Operatore sociale e giornalista pubblicista
Articolo già pubblicato sul blog "Gente di Lato".