Tagli e dignità
Laura Carrer si sofferma, a partire dalla sua esperienza personale, sugli effetti dei tagli ai fondi sociali nella vita delle persone con disabilità.
In origine, l'idea era di scrivere per rivendicare il diritto delle persone con disabilità a quella che mi piace definire un'esistenza "dignitosamente mediocre". In altre parole, desideravo affermare il diritto di costruirsi un futuro decente, fatto di giorni degni di essere vissuti ed in piena armonia con il proprio modo di essere, le attitudini i gusti le preferenze, senza per questo essere, o dover dimostrare di essere, persone eccezionali. A chi, come me, non ha potuto trovarsi né costruirsi un lavoro adeguato, restano ben poche o, addirittura, nessuna possibilità di scegliere. Ci si deve accontentare del poco che c'è ed andare incontro, nella maggior parte dei casi, ad una vita grigia e priva dei più elementari stimoli che le danno senso. È del tutto evidente che per costruirsi un proprio 'progetto' di vita, la persona - in particolare quella con disabilità - ha bisogno di una casa, un luogo in cui sentirsi a proprio agio, il più possibile serena e sicura. Uno spazio tutto per sé o da condividere con chi si è scelto per affinità elettive, cui ci si sente legati da affetto oppure da stretti vincoli di parentela. Fin dalla notte dei tempi, l'Uomo ha cercato trovato e costruito posti che rispondessero al meglio a queste esigenze. In situazioni di emergenza o di pericolo le persone si trovano nella condizione di dividere i propri spazi con altri; estranei che non hanno scelto a cui non sono uniti da altro, oltre alla sciagura piombata loro addosso. Ora è difficile affermare che il bisogno di essere assistiti delle persone con disabilità si possa iscrivere alla categoria delle emergenze. Allora, mi chiedo, per quale motivo gli si offra solo la possibilità di convivere con degli sconosciuti, in spazi ed ambiti ristretti. A questo punto entra in gioco con tutto il suo peso il fattore economico. Si dice che l'assistenza costa e che gli stipendi del personale concorrano in modo rilevante alla spesa. Non sono un'esperta e non ho motivo di dubitarne ma, la semplice esperienza quotidiana, insegna come la stessa cifra possa essere utilizzata in maniere differenti ottenendo risultati analoghi o, addirittura, migliori. In genere, il problema di dove andare a vivere e con chi, a quali condizioni si pone nel momento della morte di uno o di entrambi i genitori, il cui supporto resta prezioso e per certi versi insostituibile. In realtà, il passare degli anni porta già con sé i tanti problemi e i limiti propri della vecchiaia. In molti (fra loro la mia mamma, mancata da poco più di un anno, dopo mesi di sofferenze) hanno rifiutato l'aiuto offerto dalle istituzioni per una sorta di caparbia ritrosia che contemplava il volercela fare da soli. Del resto, gli aiuti istituzionali prevedevano il ricovero del figlioletto in un istituto dove si sarebbe provveduto al recupero di alcune capacità residue grazie ad un programma di riabilitazione e, ove possibile alla sua istruzione. Per le famiglie che sceglievamo di non allontanare il bambino era previsto ben poco e i centri di riabilitazione che permettevano anche di frequentare le cosiddette scuole speciali che esistevano soltanto in alcune grandi città. Io ho avuto la fortuna di frequentarne una; sto parlando di una situazione risalente ai primi anni sessanta del secolo scorso, quelli della mia infanzia. In seguito, sono fiorite iniziative di enti locali e legislazioni più avanzate, anche su stimolo delle associazioni delle famiglie di persone con disabilità nate ed evolute nel tempo. I miei genitori, ed io con loro, ne sono rimasti fuori a causa della loro convinzione di non poter condividere con chicchessia determinate esperienze e di non aver tempo da perdere in riunioni interminabili piene di belle parole molto poco concrete. Solo molto di recente ho preso qualche contatto e ho compreso che il clima è mutato, si percepisce la reale tensione ad una concretezza nuova o, con ogni probabilità, è cambiato assieme ai tempi, il mio modo di considerare fatti e circostanze. Diverse associazioni si spendono per la realizzazione di luoghi dove i figli con disabilità possano vivere sereni e sicuri un'esistenza degna di questo nome quando loro, i genitori, non ci saranno più, senza gravare su fratelli e sorelle né essere costretti ad entrare in una residenza per disabili. L'articolo 19 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità - ratificata anche dall'Italia - recita, tra l'altro: "Le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere su base di eguaglianza con gli altri il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siamo obbligati a vivere in una particolare sistemazione". Ed è proprio sul diritto di scegliere che bisogna focalizzarsi favorendo la promozione di progetti di vita indipendente per permette alla persona con disabilità di decidere in piena consapevolezza e libertà. Ognuno di noi immagina il proprio futuro e cerca di dargli la forma che sente più vicina a sé ed al proprio modo di essere. Ci sono persone che amano vivere a stretto contatto con gli altri e condividere tempo e spazi e decisioni da prendere ed azioni. Ce ne sono altre che sentono l'esigenza di star sole per poter leggere scrivere pensare e non amano dover mediare su ogni minima questione. Faccio decisamente parte di quest'ultimo gruppo e sono intimamente convinta che gli strumenti per poter progettare e costruire il proprio futuro, nel miglior modo possibile devono essere dati a ciascuno. Non mi sembra giusto né ammissibile che una persona solo perché non riesce a provvedere ai propri bisogni primari sia costretta a rinunciare ad avere una casa tutta sua e, nella migliore delle ipotesi, debba condividere spazi comuni con altre persone che hanno ed esprimono esigenze differenti. Certo, c'è il problema dei costi e dell'esiguità del denaro pubblico destinato alle persone con disabilità e a tutte quelle appartenenti alle cosiddette fasce marginali. In tempi di crisi economica si sta tagliano e in modo indiscriminato. Non si pensa alla vita, già problematica e precaria, di chi subisce quelle decurtazioni; dietro le aride cifre ci sono persone in carne ed ossa che vedono farsi sempre più buio intorno a sé e ne soffrono. La sofferenza si trasforma in indignazione quando vengono pubblicati articoli di giornalisti ignoranti ed in malafede basati su mezze verità e un certo numero di casi conclamati di truffa all'erario statale. Danno dei bugiardi e dei profittatori a tutte le persone con disabilità arrivando ad additarli come i maggiori responsabili del dissesto dei conti pubblici, argomento peraltro già utilizzato da più di un ministro in carica. Se i tagli si devono fare, li si faccia con saggezza, non con il mero intento di far quadrare i bilanci e si pensi ad impiegare meglio i fondi avendo davvero in mente il benessere delle persone con disabilità. Soprattutto, non si dimentichi mai che la dignità di qualsiasi essere umano vale più di qualsiasi altra cosa. È un insegnamento che ho ricevuto dai miei genitori, due persone semplici laboriose ligie al dovere. Non è vuoto idealismo, ma consapevolezza della sofferenza di creature fatte di carne e sangue, pensieri ed emozioni.
Laura Carrer, Persona con disabilità