RSD: un servizio da ripensare, una delibera da modificare?
Con un articolo nel maggio 2010 si apriva un ampio dibattito sulla natura delle RSD da cui emergono ora alcune proposte per favorire il rispetto dei diritti umani in questa strutture.
Risposte, critiche, commenti, approvazione. Non è passato inosservato l'articolo pubblicato circa un anno fa su questo sito che introduceva alcuni elementi di riflessione sulla natura e stato dell'arte delle RSD (Residenze Sanitarie Disabili) in Regione Lombardia.
Un anno in cui molte cose sono cambiate e purtroppo non sempre in meglio. Mai come in queste ultime settimane sono messe in discussione le risorse necessarie al mantenimento e sviluppo dei servizi sociali territoriali. Mai come in questo momento, quindi, appare utile e, forse, necessario interrogarsi sulla bontà di una serie di strutture che, da sole, assorbono gran parte della spesa sociosanitaria regionale destinate alle persone con disabilità e più di un quarto dell'intero bilancio regionale destinato a questo scopo.
La tesi di fondo dell'articolo che lanciò questo dibattito era, in estrema sintesi, che i vincoli posti dalla delibera di istituzione alle RSD non fossero sufficienti a garantire il pieno rispetto e promozione dei diritti umani delle persone che vivono in queste strutture.
Molti i commenti, sostanzialmente positivi: non sono mancate le risposte critiche o comunque che intravedono un pericolo in alcune affermazioni considerate, forse, velleitarie. Non si trattava, secondo queste voci, tanto di mettere in crisi una unità di offerta consolidata nella nostra regione quanto piuttosto di garantire il giusto flusso di risorse dare continuità delle risposte.
Proviamo ora a passare dalla semplice analisi della situazione ad una serie di punti che, a nostro avviso meriterebbero di essere analizzati per ricavarne proposte di modifica della delibera che regola il funzionamento di questa unità di offerta:
- Il numero di posti: la delibera autorizza strutture di 60 posti, composte da tre nuclei da 20. Non è un caso che si definiscano "posti letto" il numero di persone che possono convivere insieme. Ci chiediamo se e come sia possibile garantire lo status di cittadino residente a venti - quaranta - sessanta persone con disabilità gravi che si trovino a vivere nella stessa abitazione che, sempre più spesso, corrisponde anche architettonicamente ad un reparto ospedaliero. Il parametro amministrativo, a nostro avviso, non sembra essere in grado di reggere quello dei diritti umani. E' vero che non bastano strutture di piccole dimensione a garantire il rispetto dei diritti umani: ma è altrettanto vero che un numero mediamente basso di persone residenti nella stessa, può essere considerata una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per offrire questa garanzia.
- La scheda SIDI: dato per scontato che la funzione della scheda SIDI sia solo quello di definire la quota di finanziamento da garantire all'ente gestore per ogni singola persona presa in carico, riteniamo fondamentale che siano resi pubblici, e quindi messi in discussione, i criteri che regolano l'algoritmo che genera l'appartenenza ad ogni "classe";
- la Dgr istitutiva delle RSD prefigura una presa in carico globale della persona da parte dell'ente gestore, sotto tutti i punti di vista, sanitario, assistenziale e sociale. Ciò ci sembra in contraddizione con la missione affidata dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ai servizi sociali, ben definita al punto b) dell'articolo 19 che impegna gli stati firmatari (tra cui, non dimentichiamolo, vi è anche l'Italia che ha approvato la convenzione con una legge entrata in vigore il 15 marzo 2009) a fare in modo che "le persone con disabilità abbiano accesso ad una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l'assistenza personale, per consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione"
Per favorire i processi di contrasto all'isolamento ed alla segregazione, insiti oggettivamente in ogni forma di presa in carico globale, si potrebbe valutare di far decadere quell'automatismo tra inserimento in RSD mediante:
- la cessazione di rapporto con il proprio medico di medicina generale;
- la dimissione da altra unità di offerta socio assistenziale o sociosanitaria (in genere CDD);
- il vincolo dei 65 anni di età come limite massimo per vivere nelle RSD.
Inoltre si potrebbero porre alcuni vincoli, quali ad esempio:
- l'obbligatorietà che il Progetto Educativo Individuale sia realizzato con il pieno coinvolgimento della persona con disabilità, del suo rappresentante legale (Amministratore di sostegno), del Comune di residenza e dell'ASL, anche al fine di verificare l'appropriatezza sia dell'inserimento che dell'intervento in atto;
- che siano previsti strumenti di verifica indipendenti del livello di soddisfazione delle persone che vivono nella RSD;
- che la Carta dei servizi espliciti le strategie per favorire l'esercizio del diritto di partecipazione nella società delle persone con disabilità che vivono nella struttura e le modalità di relazione e coinvolgimento delle organizzazione rappresentative delle persone con disabilità attive nel territorio;
- che venga sottolineato l'aspetto multidisciplinare della presa in carico individuano tra i referenti responsabili delle strutture anche operatori di formazione sociale;
- che siano previsti organismi di controllo e co-progettazione degli interventi che coinvolgano le persone con disabilità residenti o i loro amministratori di sostegno.
Infine si dovrebbero valorizzare, anche economicamente, quelle esperienze in cui:
- il numero di persone che vivono nella stessa struttura sia sotto gli standard previsti;
- la struttura residenziale si metta al servizio ed interagisca con le insieme dei servizi e opportunità del territorio dedicate all'abitare delle persone con disabilità;
- si allaccino rapporti formali e reali con altre organizzazioni e servizi del territorio;
- si coinvolgano volontari nella vita del servizio non in funzione di sostituzione del personale ma con lo scopo di promuovere la relazione e l'inclusione delle persone con disabilità;
- si promuova e si realizzi, nel pieno rispetto della dignità e dei progetti di vita delle persone coinvolti, il passaggio verso altre unità di offerta più inclusive, quali ad esempio CSS o Comunità alloggio o verso progetti di Vita indipendente.
Una serie di proposte che ci appaiono assolutamente sostenibili, o per utilizzare il linguaggio della Convenzione dei semplici "accomodamenti ragionevoli", in grado di contrastare la discriminazione di cui sono inevitabilmente vittime le quasi 4000 persone con disabilità che oggi vivono nelle RSD lombarde.
Una serie di proposte che, ci auguriamo, possano divenire oggetto di analisi, studio e valutazione da parte di gruppi di lavoro e di ricerca sia di carattere istituzionale che indipendenti.
Giovanni Merlo - Direttore LEDHA
Paolo Aliata - Responsabile Organizzativo LEDHA
Guido De Vecchi - IlLab
Fabrizio Magani - Direttore RDS Muggiò, Fondazione Stefania
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Opinione già pubblicata il 6 maggio 2011.