RSD: qualche riflessione retrospettiva e prospettica
Il contributo del famoso docente di pedagogia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, al dibattito lanciato da LEDHA "RSD Servizio da ripensare?"
La residenzialità "strutturata" (come lo è la RSD) chiede, a distanza di circa 7 anni dalla sua istituzione, di provare ad interrogarsi su quale cultura della disabilità abiti tale servizio. Abitare un sevizio chiede lo spazio di riconoscimento della dignità e della degnità della persona disabile, cui esso si rivolge.
Lo scenario socioculturale postmoderno, al di là delle affermazioni retoriche sui principi, stigmatizza spesso la disabilità, collocandola nei differenziati ambiti: della diversità, della malattia, della non autosufficienza, della mancanza, della classificazione diagnostica. Al contrario, un'autentica antropologia riafferma, ineludibilmente, alcuni principi fondamentali, cui ogni servizio/presidio dovrebbe riferirsi:
il disabile - persona unica e irripetibile - richiede non solo "cura" (cure), ma competenza e attitudine alla capacità di "prendersi cura" (care), contrastando ogni forma, che tende a requisire l'attenzione sociale nell'eccedenza della medicalizzazione e della sanitarizzazione, sia nella cura, sia nella riabilitazione, sia nell'assistenza;
è indispensabile riconoscere alla disabilità una competenza, che non è solo personale, bensì assume e riassume le dimensioni di un vero e proprio "bilancio familiare", che sa accogliere la fatica di un accompagnamento, che spesso esprime il volto di grandi virtù, nella fedeltà e nell'affidamento, nell'accoglienza e nel dono di un figlio, soggetto di riconoscenza, prima ancora che oggetto di assistenza;
l'amore a un figlio disabile rimane compiutamente, esemplarmente amore, degno di essere generato, insegnato, consegnato e difeso;
per questo occorre riaffermare la necessità, l'urgenza e la priorità della tradizione e della traduzione di una prossimità rispettosa e fraterna al disabile, che pone al centro la persona e il suo percorso esistenziale: dalla nascita, alla crescita, all'età adulta e a quello snodo delicato, soprattutto per i genitori, del "dopo di noi", nelle differenziate e possibili forme dell'abitare e del "risiedere";
in tale prospettiva occorre riconoscere e riaffermare che la disabilità non è e non significa mai solo bisogno; è soprattutto domanda. E' invocazione di aiuto, ma è anche provocazione agli stili di vita diffusi del mondo contemporaneo; non è solo mancanza o assenza, è soprattutto ventaglio di opportunità; è presenza, dai molti volti, che interpella e convoca forme, talvolta inedite, di prossimità.
È questa la prospettiva entro la quale occorre ricollocare la "residenzialità" per la persona disabile: un luogo per abitare, per vivere (ben oltre tutte le omologazioni verso forme di normalità più o meno coatte). Si può davvero ripartire, anche nel definire la residenzialità - ma non solo -, da ciò che afferma la L. R. 3/2008?
Le finalità (art. 1 comma 1)
promuovere condizioni di benessere e inclusione sociale della persona, della famiglia e della comunità e prevenire, rimuovere o ridurre situazioni di disagio dovute a condizioni economiche, psico-fisiche o sociali
I principi (art. 2, comma 1)
rispetto della dignità della persona e tutela del diritto alla riservatezza;
universalità del diritto di accesso e uguaglianza di trattamento nel rispetto della specificità delle esigenze;
libertà di scelta, nel rispetto dell'appropriatezza delle prestazioni;
personalizzazione delle prestazioni, ai fini di una effettiva e globale presa in carico della persona;
promozione dell'autonomia della persona e sostegno delle esperienze tese a favorire la vita indipendente;
riconoscimento, valorizzazione e sostegno del ruolo della famiglia, quale nucleo fondamentale per la crescita, lo sviluppo e la cura della persona;
promozione degli interventi a favore dei soggetti in difficoltà, anche al fine di favorire la permanenza e il reinserimento nel proprio ambiente familiare e sociale;
solidarietà sociale, ai sensi degli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione;
effettività ed efficacia delle prestazioni erogate.
Gli obiettivi (art. 2, comma 2)
flessibilità delle prestazioni, anche attraverso la predisposizione di piani individualizzati di intervento.
1. La RSD viene individuata dalla Regione Lombardia (ricomprendendo le tre precedenti forme di residenzialità), per dare attuazione all'integrazione sociosanitaria (così come rubricata nel DPCM 14.2.2001 e riconosciuta, quale forma di LEA, nel DPCM 29.11.2001 e s.m. e. i.)
2. Si parte dal "contenitore", dalla risposta e non dal bisogno, con il rischio di omologare, al di là delle classificazioni SIDI, l'intervento, graduato solo sulla prognosi funzionale (MCS e carico assistenziale); il contenitore rischia dunque di appiattire le differenze, dentro la rigidità degli standard.
3. Occorre invece partire dal "bisogno", assunto nella forma multidimensionale del suo carico, individuando dunque forme flessibili, che diano priorità al progetto personalizzato (gli standard sono serventi il PP e non viceversa!)
4. La rigidità e l'unicità della forma residenziale (a parte la discussione sulla CSS) non rende ragione neppure dello spettro funzionale della risposta, in termini di LEA.
5. I criteri con cui definire, articolare e strutturare la residenzialità possono fare riferimento a differenziati parametri: la tutela salute (LEA), la configurazione antropologica dell'intervento, la tipologia funzionale della residenzialità, il progetto personalizzato, la residenzialità nel perimetro della community care ecc.). Farò qualche cenno per ciascuno dei possibili paradigmi ermeneutici, cosciente che per ciascuno occorrerebbe certamente un approfondimento ben più ampio; le indicazioni, con l'opportunità di un possibile ed ulteriore approfondimento, possono consentire una pacata verifica sull'esperienza delle RSD, nell'ottica di un'eventuale - forse auspicabile - riprogettazione organizzativa. Si parla qui della residenzialità, caratterizzata da stabilità e continuità (non della residenzialità propria dell'acuzie e/o del percorso riabilitativo sia intensivo che estensivo)
6. Se si assume il criterio della tutela della salute dobbiamo riconoscere almeno quattro forme di residenzialità:
Residenzialità riabilitativa di tipo estensivo, senza limitazioni di tempo, per alcune condizioni di grande complessità (cf. Linee guida della riabilitazione: DM della salute 7.5.1998 e il recente Piano d'indirizzo per la Riabilitazione - Gruppo di Lavoro sulla Riabilitazione - Ministero della Salute, ottobre 2010). Si tratta delle condizioni di gravissima disabilità, che attualmente sono escluse dalla DGR sulla riabilitazione della Regione Lombardia . Il riferimento è alle condizioni della riabilitazione estensiva, che, sono normalmente contenuti nei 240 giorni, fatta eccezione per:
i pazienti affetti da gravi patologie a carattere involutivo (sclerosi multipla, distrofia muscolare, sclerosi laterale amiotrofica, malattia di Alzheimer, alcune patologie congenite su base genetica), con gravi danni cerebrali o disturbi psichici, i pluriminorati anche sensoriali, per i quali il progetto riabilitativo può estendersi anche oltre senza limitazioni;
i pazienti "stabilizzati" nella loro condizione di non perfetto recupero funzionale per i quali possono essere previsti cicli riabilitativi anche su base annua.
Si tratta di interventi a totale carico della sanità.
Residenzialità ad alta integrazione sociosanitaria (cf. art. 3, comma 3 del DPCM 14.2.2001 . Il riferimento esplicito all'area della disabilità sta scritto nel DPCM e qualifica l'intervento in ordine alle prestazioni attribuite alla fase post-acuta; è caratterizzato dall'inscindibilità del concorso di più apporti professionali sanitari e sociali nell'ambito del processo personalizzato di assistenza, dalla indivisibilità dell'impatto congiunto degli interventi sanitari e sociali sui risultati dell'assistenza e dalla preminenza dei fattori produttivi sanitari impegnati nell'assistenza. Se si fosse preso in considerazione questo livello dell'integrazione, non si sarebbe dovuto ricorrere alla DGR "Determinazioni relative alla assistenza di persone disabili presenti in strutture di riabilitazione" . Personalmente ritengo che molte delle condizioni di disabilità, ascrivibili a SIDI 1, possano rientrare in tale fattispecie di residenzialità.
Si tratta di interventi a totale carico della sanità .
Oggi la Regione (con DGR successiva a quella istitutiva delle RSD) riconosce questo tipo di intervento, a livello residenziale, per i Pazienti in Stato Vegetativo permanente/persistente (classificati in quattro tipologie) e per i pazienti affetti da SLA (per la verità in RSA e in RSD)
Residenzialità con prestazioni sanitarie a rilevanza sociale. Si tratta degli interventi previsti da precitato DPCM, all'art. 3, comma 1 . L'attuale RSD (che per la verità ricomprende, come contenitore unico, tutte le altre fattispecie) fa riferimento alla presente tipologia.
Si tratta di interventi di cui il 70% è a carico della sanità, il 30% è a carico dell'assistenza.
Residenzialità con prestazioni sociali a rilevanza sanitaria. Si tratta degli interventi previsti da precitato DPCM, all'art. 3, comma 2 . Secondo alcuni potrebbero rientrare in questa fattispecie le comunità alloggio/familiari, per disabili privi del sostegno familiare.
Si tratta di interventi di cui il 40% è a carico della sanità, il 60% è a carico dell'assistenza.
In una possibile revisione delle RSD occorrerebbe ipotizzare le 4 tipologie di residenzialità, che sono sostanzialmente riconosciute dal SSN e, in qualche modo, appartenenti ai LEA. Si tratterrebbe di individuare le differenziate tipologie di disabilità: è importante ricordare come nelle prime due fattispecie l'onere è a totale carico della sanità.
7. Se si assume il criterio del progetto personalizzato, si potrebbe individuare l'onere, soprattutto per quanto attiene l'integrazione sociosanitaria, con un duplice profilo (in conformità al criterio assunto per la residenzialità psichiatrica): determinare una quota base assistenziale, uguale per tutti i soggetti ospiti; una quota differenziata potrebbe essere relativa alla tipologia di intervento personalizzato (con figure professionali identificate e con il costo conseguente). In questo modo non sarebbe lo standard a definire il progetto (cf oggi: SIDI 1 con 2500 min/sett/ospite, con quota sanitaria pari a € 118,00 pro die), ma il progetto a definire lo standard (e conseguentemente il costo). Si potrebbe indicizzare il costo operatore, con un mix differenziato. In questa prospettiva il progetto personalizzato può diventare la dimensione qualificante della residenzialità, garantendo la qualità dell'abitare, del vivere, in termini di autentica degnità e dignità della persona disabile. In questa prospettiva occorre individuare le figure professionali, sia per l'assistenza di base che per il differenziato progetto personalizzato.
8. Se si assume io criterio della configurazione antropologica dell'intervento, ritengo che la residenzialità debba tenere conto, in termini di standard strutturali, gestionali ed organizzativi della multidimensionale caratterizzazione personologica del disabile. E dunque occorre porre attenzione alle dimensioni costitutive della corporeità (spazi, barriere ecc.), dell'affettività (personalizzazione e qualità relazionale), dell'intenzionalità (promozione e rispetto degli stili di vita); conseguentemente (in termini di dinamica qualitativa del vivre quotidiano) occorre porre attenzione alle dimensioni istitutive dell'identità (buon rapporto con sé), dell'esperienza (buon rapporto con la realtà), della relazione interpersonale (buon rapporto con gli altri).
9. Se si assume il criterio nel perimetro della community care, sarà necessario individuare la collocazione geografica della residenzialità, in modo da favorire reciprocità relazionale con i diversi soggetti (la famiglia anzitutto) istituzionali e sociali della comunità. Si dovrà evitare ogni forma di autoreferenzialità della residenzialità, creando le condizioni di un autentico lavoro di rete territoriale: abitare la residenzialità per un disabile dovrebbe significare vivere (nel)la città.
10. Da ultimo, se si assume il criterio della tipologia funzionale della residenzialità, appare più agevole configurare, anche sotto il profilo numerico, l'identità delle diverse forme di residenzialità, consentendo la possibilità di nuclei molto flessibili, che dovranno essere riconosciuti, nell'ambito della Carta dei servizi, come rispondenti ad un coerente progetto di struttura, capace di dare ragione e fattibilità ai differenziati progetti personalizzati.
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Opinione già pubblicata il 20 dicembre 2010.