O sei abile, o sei diversamente abile … o non sei nessuno
Nell'aprile scorso, con lo slogan "Abilità diverse, stessa voglia di vita" è partita una campagna di informazione e sensibilizzazione sulla disabilità, voluta dal Ministro per le Pari opportunità, Mara Carfagna.
"Le persone con disabilità sono membri attivi della società e come tali hanno il diritto di vivere all'interno della comunità integrandosi nel mondo del lavoro, della vita di relazione e in tutti gli altri aspetti della convivenza sociale - ha affermato il Ministro - Per questa ragione, come parte del processo di affermazione delle pari opportunità, siamo intervenuti attraverso una campagna di comunicazione per contrastare il fenomeno dell'esclusione e della discriminazione nei confronti dei disabili".
Ci viene inoltre detto che l'obiettivo principale dell'iniziativa, che prevede l'attivazione di diversi canali di comunicazione tra cui TV, stampa, affissioni, radio e attività sul territorio, è di sensibilizzare la collettività sul principio dell'uguaglianza dei diritti, favorendo l'integrazione nei vari aspetti della vita sociale, lavorativa o familiare. "Si tratta di una campagna che esce dai canoni classici della comunicazione sociale, non utilizza un tono pietistico ma racconta con un linguaggio semplice e simbolico una verità di cui a volte ci dimentichiamo: una disabilità può impedire ad una persona di fare qualcosa, non di fare tutto. Ed è proprio questo che ci rende tutti uguali, perché nessuno, disabile o meno, sarà mai dotato di ogni abilità" - ha concluso il Ministro.
Allora tutto bene. Siamo nel solco della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Tuttavia, il limite dello slogan adottato, peraltro efficace, è che si riferisce solo ad una parte della disabilità (anche l'inflazionato simbolo che lo accompagna ce lo ricorda). Se ci sono disabilità che possono impedire ad una persona di fare qualcosa, ce ne sono altre che permettono di fare ben poco, a volte nulla. In questi casi la voglia di vivere non è necessariamente minore. A volte lo è, ma come per tutti: a disabili e non disabili può succedere per mille motivi di non aver più voglia di vivere.
Il fatto è che le abilità, diverse o meno che siano, nel comune sentire, continuano a costituire un riferimento, quasi un'ossessione. Chi non possiede una qualche abilità non è nessuno. Ma la persona non è le sue abilità, la persona è ben altro! Il filo conduttore della Convenzione ONU è la dignità della persona, non le sue eventuali abilità. E poi c'è il "Q.I.". Nella delibera 851 del 31.03.09, della Regione Veneto, dove si parla di controindicazioni assolute al trapianto d'organo, tra i casi considerati vi è anche: "danni cerebrali irreversibili" e "ritardo mentale con Quoziente Intellettivo inferiore a 50" (Su ciò recentemente è scoppiata una polemica: cfr. Corriere della Sera del 29.05.2010).
Abilità e intelligenza: entrambe possono essere ridotte al minimo, quasi azzerate, e in certi casi anche la salute concorre a mettere fuori gioco una persona. Ma qual è il gioco? I giochi di questa nostra società sono solo una parvenza di vita. Oggi mi pare manchino i presupposti per un confronto con la seria provocazione che la disabiltà pone, specie se intellettiva. Cosa possono dire, oggi, parole come quelle che Emmanuel Mounier scrisse in una lettera dal fronte della prima guerra mondiale, alla moglie a proposito della condizione della loro primogenita Françoise, affetta da encefalite? Il filosofo, che ogni sera puliva e preparava per la notte sua figlia, così si espresse: "Che senso avrebbe tutto questo se la nostra bambina non fosse altro che un frammento di carne sprofondato non si sa dove, un po' di vita sinistrata, e non questa bianca piccola ostia che ci supera tutti, una infinità di mistero e di amore che ci abbaglierebbe se lo vedessimo a faccia a faccia?".
E se una seconda campagna di sensibilizzazione adottasse uno slogan tipo "limiti diversi, stessa dignità"? pensando, da un lato, agli svariati limiti con i quali poco o tanto, o tantissimo in caso di gravi menomazioni, gli esseri umani devono fare i conti, e dall'altro lato, a quel qualcosa che li caratterizza e che non si riesce a definire in modo esaustivo, ma da cui discende la loro dignità. Certo, non sarebbe uno slogan efficace come quello in questione, però gioverebbe a ribadire che prima di tutto vi è la dignità che deve essere riconosciuta alla persona, qualunque sia la sua condizione. In fondo proprio da ciò è partita anche la Convenzione ONU.
Angelo Fasani - Presidente di Anffas Milano Onlus