RSD: riflessioni su un servizio in discussione
Umberto Zandrini alimenta il dibattito iniziato con l’articolo apparso settimana scorsa su Persone con Disabilità “RSD: un servizio da ripensare?”
La standardizzazione dei processi è frutto dell'età moderna e risponde a precise regole economiche.
I processi di standardizzazione che influenzano e condizionano la vita del singolo cittadino sono una deriva di quei processi che hanno accompagnato prima il sistema produttivo, con le inevitabili ricadute sul mondo del lavoro e dei lavoratori, poi hanno condizionato gli stili di vita quotidiana attraverso i vari fenomeni c.d. "di moda"(tv omologata, tempo libero omologato, cibo e vestiario omologato ecc), in ultimo stanno si osservano anche nel pensiero e nel modo di leggere ed interpretare la realtà con effetti inevitabili su come pensare il nuovo e rende questo pensiero motore e "soggetto" per una migliore qualità della vita.
Tutto ciò è oggi appena sostenibile per chi gode di piena autonomia di azione e pensiero (quanti sono?).
Per tutti gli altri sta diventando insostenibile e per alcune categorie di cittadini come le persone con disabilità, insostenibile lo è già. Penso all'articolo di Franco Bomprezzi su Vita n° 18 del 7 maggio 2010 dove lamenta la sua impossibilità ad essere interista, non potendo nei fatti, andare a Madrid a vedere la finale di Coppa dei Campioni perche lo stadio risulta impraticabile a lui ed a molti come lui. Purtroppo caro Franco non basterebbe cambiare squadra.
Tutto ciò a che a vedere con la vostra riflessione sulle RSD?
Certo che sì, e la ragione risiede nel fatto che l'attuazione delle delibere regionali di riferimento, pongono al centro un'esigenza di natura economica che poi si traduce in necessità di standard e quindi di impossibilità reale, per un ente gestore, di derogare a tale norma.
Fa nulla se la vita è da sola una deroga alla norma, ma questa considerazione richiamerebbe una prima valutazione di ordine semantico, se pensiamo a quanto abbiamo lottato per eliminare dal nostro vocabolario il termine normodotato. La società moderna ci vuole normodotati e quindi aggregabili per fasce, tipologie, target. Classi?
Ora, a tutti noi tocca invecchiare e a tutti noi tocca qualcuno che, più giovane, invecchi con noi. Perché ci assista, ci accompagni, ci sostenga e forse perché no, ci voglia anche bene.
Quello che politici ed amministratori non capiscono, nella frenesia ordinaria imposta dai vincoli di bilancio e della rincorsa alla norma come unica soluzione possibile, è che non si può normare il sentimento e quindi, non contemplandolo nella norma, tutto diventa più complicato.
Il compito risulta assolto quando si sono rispettati parametri, standard strutturali e gestionali, budget, sistemi c.d. di qualità, autorizzazioni al funzionamento,codici etici, senza considerare che tutto ciò ha un costo (ricordo, con un piccolo inciso, che stiamo vivendo un tempo dove beni e servizi valgono quello che costano e non costano quello che valgono!) che potrebbe invece essere sostenuto per "rompere la norma" e dedicarsi con più attenzione alla persona che si ha davanti.
A questo punto allora non mi interessa più se disabile o meno, vale per gli anziani, per i minori e per tutte quelle persone oggettivamente bisognose di un sostegno perché incapaci a provvedere da soli alle loro necessità.
Ma noi ci occupiamo di persone con disabilità e allora vi chiedo: vogliamo aprire una seria riflessione sulle RSD? Partiamo allora dalla mappa valoriale di questa società moderna e, senza avere la pretesa di invertire il corso del tempo, ipotizziamo servizi "anormali," per persone "anormali" in un tempo "anormale", che mi piace definire contemporaneo e, ogni giorno, mi stimola a trovare una piccola soluzione rivoluzionaria.
Umberto Zandrini - Presidente Consorzio SIR