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Persone con disabilità

A cura di Ledha

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4 Marzo 2010

Maria Spallino – Madre di Giulio

di Maria Spallino – Madre di Giulio

'Once you've had a baby, you can't put it back'. Questa la frase di un bambino di 6 anni, in un libro letto tanti anni fa in Inghilterra. Una specie di monito che ho tenuto ben presente fino ai quarant'anni.

E quando finalmente mi sono decisa, era forse un po' tardi. Alla notizia della tua imperfezione ho iniziato a chiedere scusa a tutti, parenti e amici. 'Scusate' se non sono stata capace di fare un figlio normale. 'Scusate' se non sono stata all'altezza. 'Scusate' se porto nella famiglia un peso che avrei potuto evitare. Del resto in molti, intimi o sconosciuti, mi hanno rivolto la stessa lacerante e spudorata domanda "Ma non hai fatto l'amniocentesi?" Quel Ma è il registro dell'intera frase. Odora di falsa prevenzione. Di razza pura. Una malcelata accusa, in fondo: Se avessi voluto sapere, avresti potuto abortire. E allora 'scusate' se non ho voluto ascoltare il consiglio, se ho imposto la mia scelta personale a questa società.
"Ma... allora non rideremo mai più?" La mia prima preoccupazione. Non riuscivo nemmeno a immaginare la parola 'pianto'. Dev'essermi morta in gola. E ci ritroviamo faccia a faccia con la diversità. Un mondo a parte, isolato dove tutti i ponti saltano. Un muro di imbarazzo, pregiudizi e diffidenza che noi, dentro e fuori, concorriamo ad innalzare. Mattone dopo mattone, e sei nel ghetto. Le cose non dette, ferme al diaframma. Le domande sospese all'angolo della bocca. Gli sguardi evitati e quelli feriti. La ricerca affannosa, all'inizio solitaria, per capire di più, per cercare di figurarsi un domani. Poi, finalmente, li riconosci, non sei solo. Ti riaffacci alla vita e scopri quante famiglie hanno assaggiato la ferita della diversità. E torni a fidarti. Accenni un sorriso come un punto interrogativo. Via via più convinto, spontaneo. Ricambiato. Affermativo. Sei di nuovo normale.
Gli anni passano e tu, Giulio, cresci. E noi con te. A scartamento ridotto. Fin troppo visibili, con quella firma della sindrome sugli occhi, eppure invisibili nel nostro bisogno di dignità, di uguaglianza e rispetto. All'inizio, con un figlio così, credi di avere perso l'ultimo treno per la felicità. Allora ti danno un premio di consolazione e tutto ciò che ti sanno consigliare è che 'vanno tanto stimolati'. Dirlo a una iperattiva come me è stato come entrare in una polveriera con un fiammifero acceso. Dopo anni di fatiche reciproche, ho smesso di strattonarti per obbligarti a tenere un ritmo impossibile. Siamo scesi dalla ruota del criceto. Io devo ancora rallentare, e parecchio. La ferita narcisistica era profonda. La sto ricucendo e papà si è dimostrato un paziente ferrista. Un uomo che non aspettava altro che essere padre. Il migliore dei padri possibili. Ti ha amato da subito. Incondizionatamente. Comunque. Quasi fosse stato suo il grembo che ti ha cresciuto, nutrito, ninnato. E a lui rimandi spontaneo il sorriso, il calore che ti ha accolto sin dal primo giorno.
Il mio è un lavoro che richiede tempo e costanza. Il dolore della crescita è un passaggio obbligato, ma lentamente ne intravedo i frutti. Certo, far combaciare i miei desideri e progetti con quel che la vita mi ha dato, un figlio imperfetto, non è semplice. Ma ora lo considero un dono, non un castigo.
Ti amo dal cuore, oggi. Finalmente, ho messo la testa al secondo posto. Amo i tuoi occhi a mandorla, amo i tuoi ingorghi verbali, i tuoi riflessi che paiono giungere da una cantina buia. Il bisogno di riconoscerti, di ritrovare le mie radici in te è sempre meno imperante. Ho appreso, come ogni madre, l'esercizio della pazienza. Ogni giorno coltivo la speranza, la annaffio, le canto una canzone perché prenda forza e radici. E tengo chiuse a chiave, che tu non le possa mai annusare, le mie paure. I fantasmi, ma non le fantasie. Sogno nuove avventure, certo lontane dalla mia vita 'prima di te', ma altrettanto emozionanti.
In questo mondo nuovo (non quello di Huxley, no!), la cui lingua ci era estranea, abbiamo dovuto ricominciare da capo, imparare un alfabeto diverso. E su questo sentiero camminiamo in tanti. Alcuni con passo spedito, altri tenendosi per mano, altri indeboliti dalla fatica. Ma tutti sappiamo che quel treno per la felicità, prima o poi, lo riacciufferemo.

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