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Persone con disabilità

A cura di Ledha

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19 Febbraio 2010

Dalla Convenzione alla prassi: l’esperienza di un’associazione di famiglie a Milano

di Laura Borghetto - presidente associazione L’abilità onlus

Il "viaggio senza valige" di padri e madri di bambini con disabilità che si sono fatti strada armati di proposte e disposizione continua al dialogo

"In Thailandia vestiti da Lapponi": così descriveva l'inizio della sua storia una mamma della nostra associazione.
Una metafora che racconta con la forza delle immagini il vissuto di molti padri e madri dopo la prima comunicazione: il disagio, l'imbarazzo, la sensazione di avere qualcosa di sbagliato, ma soprattutto di avere qualcosa di meno.
Non diversa l'immagine che sceglierei per descrivere il viaggio senza valigie della nostra associazione in una città come Milano che 11 anni fa guardava a L'abilità come qualcosa di strano, interessante ma difficile da interpretare.
Vestiti delle nostre idee, dei nostri dolori, delle nostre aspettative entravamo in una realtà spesso estranea che guardava ai bambini con disabilità come "portatori di handicap" come si diceva allora. E questa frase spesso era riferita anche alle famiglie, ai genitori.
Un linguaggio, il nostro, controcorrente. Le immagini che non concedevano nulla al paternalismo ma che disegnavano mondi di colori per addolcire la sofferenza.
Non una associazione che si proponeva per una patologia specifica o con una finalità mirata: L'abilità non voleva entrare nel campo sanitario o scolastico o sociale o culturale, piuttosto insinuarsi nei buchi, nelle zone grigie, dove precipitano le famiglie, dove cadono le istituzioni, dove cedono i nervi.
Non un sindacato dei diritti, non un comitato di lotta. Piuttosto un luogo di proposte, di dialogo continuo. Con le famiglie, con le istituzioni, con le altre associazioni, con i servizi sanitari, con la scuola, con chi usava il termine "handicappato" e indicava i genitori come "poverini".
Partendo dalla Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza naturalmente. Cominciando a riportare su ogni brochure, in ogni pubblicazione che ci riguardava l'articolo 23 della Convenzione, nella versione riscritta dai bambini e dalle bambine.
Negli occhi - e nel cuore - tanti bambini con disabilità dalla vita "poco piena" e "poco decente", per usare le espressioni contenute nell'articolo della Convenzione.
Nel nome di L'abilità un destino legato al fare. Che cosa fare per i bambini con disabilità e per le loro famiglie? Da subito. Concretamente.
Il gioco, per prima cosa. Perché giocare è un diritto e un bisogno.
Abbiamo aperto uno spazio gioco dedicato ai bambini con disabilità. Solo a loro.
Perché eravamo stanchi di bambini che stanno a casa da soli o al massimo con le loro domiciliari. Perché la vita piena è anche sperimentazione e i luoghi dove i bambini con disabilità possono sperimentarsi e quindi crescere (per essere più forti) sono quasi inesistenti.
Perché il divertimento per il bambino con disabilità è un tempo lento, di scoperta, di continua ricerca. Perché la vita piena comincia dal di dentro, dalle capacità che noi adulti riusciamo a stimolare, dal saperlo mettere a proprio agio, dal saperlo ascoltare, dal facilitare la sua crescita.
Perché non c'è inclusione se non diamo ai bambini con disabilità possibilità di esprimersi, di comunicare, di crescere, di essere bambini fino in fondo. Se non buttiamo giù la barriera che c'è - e non possiamo negarlo - quando la patologia ci paralizza e non riusciamo a vedere la persona.
Ma al nostro spazio gioco non si chiedeva solo piacere e divertimento. Si richiedeva spesso un complesso lavoro educativo di potenziamento delle autonomie e delle abilità del bambino.
L'abilitazione, in un termine. Una vita piena e decente comincia da progetti educativi seri. Mirati e condivisi. Attorno a noi molti bambini senza progetti educativi, parcheggiati, che peggiorano. Nella disperazione dei genitori.
E allora L'officina delle abilità, il sogno di un servizio aperto che dialoga ininterrottamente con la scuola e con la neuropsichiatria.
Ancora una volta una scelta di campo. Il fare. Il fare anche quello che qualche volta dovrebbero fare gli altri. Una Officina che diventa scuola, servizio sociale, supporto della riabilitazione, che attiva il banco alimentare per le famiglie che soffrono su più fronti.
Perché? Per difendere il superiore interesse del bambino, un diritto che non ammette deroghe. Che ci chiede dedizione e impegno. Pragmatismo e lucidità.
Nessuna velleità di rivoluzionare il sistema, piuttosto di contaminarlo, presentando progetto dopo progetto, allacciando relazione dopo relazione, dimostrando che solo nella prassi si cambia il sistema, dal di dentro. Dal cuore. www.labilita.org

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