“Dalla parte dei bambini: la voce delle mamme”
Il percorso formativo promosso da Ledha e dalla Provincia di Milano “Bambini con disabilità- grandi da piccoli” si è concluso con una tavola rotonda dal titolo “Dalle parte dei piccoli”.
In tale occasione le mamme hanno portato la loro esperienza, densa di emozioni e riflessioni, per il riconoscimento dei diritti dei loro piccoli con disabilità. In vista del convegno del 26 febbraio "Bambini fino in fondo - Nascere e crescere con disabilità in Lombardia" pubblichiamo le testimonianze delle mamme che hanno contribuito con la loro esperienza alla discussione.
Nonostante l'esperienza di ciascun genitore sia differente, poiché ogni bambino è differente c'è qualcosa che accomuna noi, genitori di figli con disabilità. Ognuno di noi ha alle spalle crisi familiari, scogli che ci rendono difficile gestire i problemi di tutti i giorni. Facciamo fatica letteralmente a far quadrare le nostre vite. Spesso ci facciamo prendere dai compiti associativi perché vogliamo condividere con le altra famiglie dei percorsi di vita aiutandoci a vicenda.
Cerchiamo di dare una risposta ai problemi dell'inclusione scolastica dei nostri figli con un occhio rivolto al loro futuro nella speranza che crescendo diventino lavoratori, integrati a pieno titolo nel tessuto sociale.
Sono le associazioni, soprattutto quelle piccole, che spesso ci aiutano ad affrontare i problemi quotidiani. Ci permettono di incontrare altri genitori, ci forniscono aiuto psicologico. Spesso e volentieri sopperiscono alle mancanze del settore pubblico.
Io ero un insegnante e già negli anni '70 sostenevo l'inclusione scolastica attraverso percorsi pionieristici messi in atto con i miei colleghi.
Insegnanti di sostegno e non lavoravamo fianco a fianco spesso scambiandoci i ruoli.
Poi nacque mi a figlia e io dovetti smettere di lavorare. Iniziai a vedere la disabilità da un altro punto di vista: quello del genitore. All'inizio è stata dura.
Dapprima io e mio marito dovemmo affrontare il dilemma della diagnosi. Inizialmente si pensò infatti che mia figlia fosse cieca, poi invece fu dichiarata ipovedente. Allora iniziò la lunga ricerca di una struttura riabilitativa adatta. Grazie all'Associazione Nazionale Subvedenti fui indirizzata ad una struttura riabilitativa dove fu ricoverata mia figlia.
Ma io e mio marito eravamo, con il passare del tempo, sempre più combattuti tra il seguire ciò che ci consigliavano gli specialisti e l'assecondare le esigenze e i ritmi di nostra figlia.
Penso che spesso i medici tengano poco conto di noi genitori nel percorso riabilitativo e che questo potrebbe essere notevolmente migliorato dalla nostra osservazione. Dopotutto chi meglio dei genitori può comprendere i propri figli, chi meglio di noi genitori è più attento ai loro bisogni e alle loro risposte? Il bambino e la famiglia dopotutto affrontano assieme il proprio percorso.
Poi c'è stata l'esperienza scolastica che in un primo momento è stata traumatica.
Ma fu soprattutto l'incontro con l'Associazione Nazionale Subvedenti a cambiare la nostra percezione. L'incontro con altri genitori che avevano vissuto le nostre stesse esperienze servì a rafforzarci.
A questo proposito vorrei ricordare quello che scrisse Franco Bomprezzi, giornalista e portavoce LEDHA alla morte di sua madre "Non mi ha mai guardato senza dolcezza, senza un sorriso. Ecco perché non mi sono mai sentito una persona diversa, non ho mai avuto sensi di colpa, ma al contrario ho sviluppato, nonostante l'evidenza di una disabilità fisica grave, i meccanismi dell'autostima, della normalità, della gioia di esistere. Mia madre ha trattato il mio corpo con delicatezza e con amore, sapeva prendermi, lei così minuta, con tranquillità e sicurezza, e io mi fidavo e mi affidavo solo a lei. Ha nutrito la mia infanzia e la mia adolescenza di certezze, tenendo per sé il dolore, la paura, i sacrifici anche personali (ha dovuto interrompere l'insegnamento per lunghi anni). Io sono dunque arrivato all'adolescenza non protetto in una palla di vetro, ma costruito correttamente per affrontare, con le mie ossa fragili," - quando era nato, in realtà le sue ossa erano cartilaginee - "una vita che non mi avrebbe fatto sconti. I miei genitori non hanno mai cercato a tutti i costi un mio recupero fisico impossibile, non mi hanno costretto a esercizi fisici e riabilitativi che andassero a scapito del tempo da dedicare alla mia formazione scolastica. Mi hanno accettato com'ero, un po' speciale, con le ossa fragili e storte, con il naso lungo, e con una parlantina inarrestabile e un po' petulante. Mia mamma ha costruito, senza saperlo (nel senso che nulla allora era stato teorizzato)" - quando è nato lui, ha 56 anni - "una persona con disabilità capace di "vita indipendente".
A volte credo che anche i nostri figli, nonostante magari non abbiano la possibilità o la proprietà di linguaggio per esprimere i loro pensieri come Franco Bomprezzi, si sentano al sicuro e dimostrino la stessa cieca fiducia verso chi li ha sempre curati. Perché i nostri figli, spesso non hanno la forza di difendersi dobbiamo noi genitori dare voce ai loro diritti. Ma soprattutto penso che dobbiamo accettarli per quello che sono e non per quello che sarebbero potuti essere.