Lavoro e persone con disabilità: “La sfida è rovesciare il paradigma”
Intervista a Carlo Lepri, docente all’Università di Genova. “La presenza di lavoratori con esigenze speciali permette di ragionare di questioni che riguardano tutti i cittadini”
Rovesciare il paradigma, quando si affronta il tema dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, è complesso. È molto più facile partire dall’analisi di quello che non funziona rispetto agli aspetti positivi e ai punti di forza di queste esperienze. I dati ufficiali confermano questa visione pessimistica: solo il 19% delle persone con disabilità nella fascia d’età 15-64anni ha un lavoro. Le esperienze negative, gli episodi di cronaca, le denunce che ciclicamente emergono rispetto a questo tema confermano le difficoltà con cui quotidianamente si devono confrontare le persone con disabilità quando, curriculum alla mano, si recano in un ufficio per un colloquio di lavoro.
Tra i desideri delle persone con disabilità che stanno emergendo grazie al progetto L-inc, quello di lavorare è uno dei più sentiti. Da qui la necessità di fermarsi a riflettere su questo tema, come è avvenuto nell'ambito del seminario “Ma va a lavurà” che si è svolto a Villa Forno a Cinisello Balsamo giovedì 16 maggio. Tra i relatori, Carlo Lepri dell’Università di Genova.
Rovesciare questo paradigma non è facile, ma è possibile. “Occorre innanzitutto precisare che quello del lavoro è un tema su cui c’è grande sofferenza non solo da parte delle persone con disabilità, ma da parte di tutti i cittadini, in modo particolare quelli più giovani”, precisa Carlo Lepri, psicologo e docente presso l’Università degli Studi di Genova.
“Per prima cosa occorre rovesciare il paradigma secondo cui i problemi delle persone con disabilità riguardano solo loro -sottolinea Lepri-. Al contrario, la presenza di lavoratori con esigenze speciali permette di ragionare di questioni che riguardano tutti i cittadini”. Pensiamo all’esempio, forse, più semplice: le barriere architettoniche. Un edificio o un ufficio privo di barriere sono accessibili a chi ha una disabilità motoria permanente (chi si sposta in carrozzina) ma anche a chi ha una disabilità temporanea o delle esigenze particolari: “Spesso quello che è necessario per un lavoratore disabile diventa utile per tutti”, puntualizza Lepri.
Prima di analizzare il mondo del lavoro in senso stretto, però, è necessario fare un passo indietro. “L’idea del lavoro è qualcosa che riguarda, per definizione, il mondo degli adulti. Ma che inizia a farsi strada nel bambino e nel ragazzino già nel momento in cui gli si chiede che cosa vuole fare da grande -riflette Lepri-. Stiamo iniziando a verificare, anche tra le persone con disabilità, che il tema del lavoro inizia a essere presente anche nei progetti di crescita e di vita, già a partire dagli anni della socializzazione primaria”.
“Si diventa grandi iniziando da piccoli -riprende Lepri-, il lavoro non può essere un qualcosa che compare all’improvviso nella vita di una persona. Purtroppo questo accade ancora molto spesso per le persone con disabilità. Essere in grado di lavorare, invece, è un’attività complessa che richiede alcune competenze molto specifiche che maturano nel corso degli anni, ad esempio la capacità di mettersi nei panni degli altri per essere capaci a rispondere alle aspettative che ogni ruolo lavorativo porta con sé. Una competenza che si forma nel tempo, attraverso i micro-ruoli che si acquisiscono durante l’infanzia e gli anni della scuola: è importante che i bambini e i ragazzi con disabilità non vengano esentati dai loro ruoli e dalle loro responsabilità. Grazie all’inclusione scolastica questo elemento sta iniziando a funzionare meglio. Certo, le fatiche non mancano, ma la strada ormai è tracciata”.
Ultimo passo, riguarda l’inserimento in azienda. Tenendo sempre presente la complessità e le molteplici esigenze che devono essere affrontate in questa fase (una persona con disabilità motorie ha esigenze diverse rispetto a chi ha una disabilità intellettiva) uno degli elementi essenziali affinché l’inserimento lavorativo in azienda abbia un esito positivo è il percorso di mediazione.
“Non si può chiedere alle persone con disabilità di assumere un ruolo lavorativo, magari complicato, in modo immediato e brutale. Ci vogliono delle mediazioni, le persone così come le aziende devono essere sostenute e accompagnate. In particolare le imprese debbono essere aiutate a capire chi è la persona inserita, quali sono le sue competenze e come includerla nel modo più idoneo. In altre parole: come mettere la persona giusta al posto giusto”.
Un processo che richiede tempo e soprattutto il contributo di operatori, educatori e professionisti che sappiano affrontare questo compito. “Cose molto positive succedono tutti i giorni: se la mediazione viene fatta bene le persone con disabilità possono essere produttive e portare anche un contributo emotivo all’interno dell’ambiente di lavoro -conclude Lepri-. Questo vale sia quando l’inserimento avviene senza particolari problemi sia quando il gruppo di lavoro è costretto ad affrontare e superare alcune difficoltà, diventando così più attento e responsabile rispetto alle relazioni quotidiane nell’ambiente di lavoro”.