Profughi e disabilità, un viaggio ancora più faticoso.
Tra i profughi tante persone con disabilità. Impossibile sapere quanti siano, ma per loro il viaggio è ancora più difficile. Vitale: "Chi fugge porta con sé i propri cari, perché non c'è più nessun posto sicuro dove lasciarli".
Quattro uomini sollevano a forza di braccia una carrozzina. Ma l’ostacolo da superare, questa volta, non è una rampa di scale o un gradino particolarmente alto. Questa volta bisogna attraversare un torrente, con l’acqua gelida che scorre impetuosa e arriva alle ginocchia. L’immagine arriva dal confine tra la Grecia e la Macedonia dove, da settimane, migliaia di profughi siriani, afghani e iracheni sono bloccati nel tentativo di risalire la penisola balcanica per raggiungere la Germania o la Svezia. Intrappolati a Idomeni (questo il nome del paesino greco che rimbalza su tutti i tg), un centinaio di profughi hanno cercato di aggirare il blocco della frontiera guadando il fiume Suva Reka.
Un’immagine che colpisce al cuore, ma certo non è nuova. La scorsa estate, l’agenzia di stampa IRIN aveva raccontato le storie di persone con disabilità o problemi motori costretti a fuggire dalla guerra. E ad affrontare, tra mille difficoltà, il complicato viaggio in gommone attraverso il mar Egeo per poi risalire la “Rotta Balcanica” fino ad arrivare in Germania.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità stima che il 15 per cento della popolazione mondiale abbia una disabilità. Impossibile, però, sapere quale sia la percentuale di persone con disabilità tra i profughi che hanno percorso la Rotta dei Balcani nell’ultimo anno. Molti hanno subito lesioni in conflitto o durante il viaggio, mentre quelli con disabilità esistenti sono considerati troppo vulnerabili dalle loro famiglie per essere lasciati indietro. Anche se questo significa portarli - letteralmente - in braccio verso l’Europa.
Immagini simili si sono viste anche nelle estati del 2013 e del 2014, quando migliaia di profughi siriani sono sbarcati sulle coste della Sicilia e della Calabria. Tra di loro anche uomini e donne con disabilità. E ancora alla Stazione Centrale di Milano, per molti mesi punto di transito per i profughi diretti verso il Nord Europa. Da qui sono passati anche Abdul e la sua famiglia. Il ragazzo, affetto da sindrome di Down non lasciava mai la mano della madre, seguendola a piccoli passi ovunque andasse.
Poche settimane dopo è stata la volta di Nawal, una bellissima ragazza siriana autistica. E ancora - raccontano i volontari - donne anziane, ragazzi in carrozzina e altri giovani con varie disabilità più o meno visibili. “E' chiaro che la natura di queste migrazioni è molto diversa da quelle a cui abbiamo assistito negli ultimi anni”, ragiona Tommaso Vitale, sociologo e direttore scientifico del master “Governing the Large Metropolis” presso l’università Sciences Po di Parigi.
Le migrazioni per motivi economici, infatti, seguono una sequenza precisa: partono i giovani più forti e motivati, successivamente si ricongiungono con il coniuge e i figli, infine i genitori. “Ma quando si scappa da una guerra o da un genocidio allora scappano tutti: bambini, anziani, persone con disabilità. Chi oggi fugge dalla Siria e non trova posto nei campi profughi nei Paesi limitrofi cerca di entrare in Europa portando con sé i propri cari perché non c’è nessun altro posto dove lasciarli al sicuro”.
E così, anche i più fragili sono costretti a mettersi in viaggio. Come ha fatto Bashar, siriano in fuga da Homs, che aveva perso la gamba sinistra a causa del diabete e cammina grazie a una protesi. L’uomo viaggiava assieme al figlio, alla nuora incinta e a due nipoti. Grazie all’International rescue committee (che ha distribuito sedie a rotelle sull’isola di Lesbo per tutta l’estate) è riuscito procurarsi una sedia a rotelle per proseguire nel cammino, ma lungo le strade fangose che attraversano la Macedonia e la Serbia, la carrozzina è inutile. E così, per continuare il viaggio, non ha avuto altra alternativa se non utilizzare una carriola spinta - di volta in volta - dal figlio, da volontari o da qualche compagno di viaggio.
“In Siria, come in Afghanistan o in Irak ci sono dei luoghi in cui non si può più vivere. E così anche quelle persone che non avrebbero le forze per affrontare questo percorso migratorio sono costrette a mettersi in viaggio”, conclude Tommaso Vitale.