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Persone con disabilità

A cura di Ledha

Archivio notizie

08/07/2013

Welfare sociale e disabilità in Lombardia

Giovanni Merlo ci illlustra come le prime indicazioni della nuova amministrazione, in materia di disabilità, appaiono caratterizzate da una prudente discontinuità con quelle immediatamente precedenti.

 

A distanza di alcuni mesi dalla nascita della nuova Giunta Regionale è opportuno chiedersi quali siano i cambiamenti che interverranno nella vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie che usufruiscono di interventi sociali di carattere pubblico. Per provare a comprendere quali siano i probabili scenari futuri si deve fare riferimento sostanzialmente a due atti fondamentali: le pagine del Piano Regionale di Sviluppo dedicate all'Area sociale e i contenuti della DGR 116 che prevede l'istituzione di un Fondo Regionale a sostegno delle famiglie. La comprensione di questi atti pubblici può essere facilitata dai documenti elaborati dall'Assessorato in occasione dell'audizione presso la Terza Commissione del Consiglio regionale e da alcune dichiarazioni pubbliche in occasioni di seminari e convegni. Accanto a queste fonti sarà importante considerare le modalità di ripartizione del Fondo Sociale Regionale (DGR 316) e il fatto che alcuni provvedimenti della precedente legislatura siano rimasti in piena attività.

Rispetto al recente passato, ed alla situazione complessiva del modello di welfare lombardo nel campo della disabilità possiamo notare alcuni elementi di continuità ed altri di discontinuità.

La prima questione, fondamentale, riguarda la questione della Presa in carico.

La precedente amministrazione regionale aveva posto il tema della presa in carico come uno dei pilastri delle azioni decennali previsti dal PAR (Piano d'Azione Regionale Disabilità), attraverso la previsione della figura del Case Manager all'interno dei Consultori, nella loro evoluzione in Centri per la Famiglia. Intenzioni che non sono sfociate in atti concreti di implementazione. Al contrario sia gli atti che i documenti programmatici sostenevano e prevedevano una ulteriore radicalizzazione del modello vigente di welfare, con l'introduzione della famosa "dote welfare", che, come è noto, pone la questione della libertà di scelta del servizio da parte dell'utente come garanzia di personalizzazione dell'intervento, svincolata dai processi di presa in carico. La strada della dote welfare sembra essere stata abbandonata da parte della nuova Giunta regionale in favore di un modello di intervento che, pur all'interno del sistema consolidato di organizzazione dei servizi, dia maggiore spazio da un lato alle esigenze di programmazione integrata degli interventi a livello locale e dall'altra alla presa in carico.

Di presa in carico delle persone con disabilità si parla soprattutto nel Piano Regionale di Sviluppo in diversi passaggi, sottolineandone l'importanza e la centralità. Il primo ente individuato come responsabile della gestione di questa funzione è di nuovo il consultorio "nell'ottica di riorganizzazione della propria funzione in Centri per la famiglia (...) con un orientamento mirato alla presa in carico della famiglia in modo complessivo, soprattutto nelle situazioni di criticità (separazioni, disabilità, non autosufficienza, povertà, etc.) (...) un punto di primo accesso, di informazione e orientamento ai diversi servizi sociosanitari e sociali, anche attivando la rete formale ed informale del volontariato."

Una previsione rinforzata nel passaggio dedicato agli interventi rivolti alle persone con disabilità dove si esplicita che "Si proseguirà nell'attuazione del Piano d'Azione Regionale 2010-2020 per le persone con disabilità con particolare attenzione ai minori e alle fragilità psichiche. Per assicurare il diritto a vivere nella società con piena libertà di scelta, Regione Lombardia individuerà soluzioni organizzative e strumenti per la presa in carico della persona con disabilità, la sua valutazione complessiva, il sostegno e l'accompagnamento nella costruzione e realizzazione del suo progetto di vita."

Un passaggio fondamentale perché il tema della presa in carico non viene più posto in contrapposizione con il diritto alla "libera scelta" ma anzi come sua pre-condizione fondamentale. Per poter esercitare il diritto alla libera scelta è necessario che le persone con disabilità siano correttamente "prese in carico" in funzione della realizzazione del loro specifico progetto di vita.

Il tema viene ripreso anche nel paragrafo dedicato alla "Programmazione e governo della rete dei servizi sociosanitari e sociali" e che quindi interessa prima di tutto le 10.000 persone con disabilità oggi in carico alla rete dei servizi. E' in questo passaggio che si fa riferimento per la prima volta allo Sportello Unico per il welfare.

"La presa in carico globale della persona e della famiglia, che passa attraverso l'adozione di un modello di valutazione del bisogno, omogeneo per tutto il territorio, prevede anche la semplificazione dell'accesso ai servizi sociali e sociosanitari tramite la creazione di uno Sportello Unico per il Welfare. Lo Sportello Unico per il Welfare sarà la sede per la valutazione multidimensionale del bisogno, la classificazione dell'utente e la ricomposizione della risposta, valutando la situazione economica per eventuali compartecipazioni (dove richieste nel rispetto dei LEA). Lo Sportello accompagnerà la persona nella scelta dell'erogatore e nel contatto con lo stesso. Ciò attraverso un coinvolgimento diffuso dei diversi livelli di responsabilità istituzionale, della comunità e della pluralità di soggetti che già operano nel contesto territoriale."

Una previsione che rafforza quindi la volontà di investire su tema della presa in carico ma che non aiuta a rispondere alle domande fondamentali necessarie per comprendere come questa ipotesi si trasformerà in realtà.

Chi sarà responsabile della Presa in carico?

Con quali obiettivi e risultati da raggiungere?

Con quali strumenti?

In quale luogo e in quale relazione con gli altri servizi attivi nel territorio?

Con quale autorità ?

Ci si chiede quale rapporto ci possa essere tra questa ipotesi e le funzioni che si vorrebbero attribuire ai Centri per la Famiglia, tra questi sportelli ed i CEAD ancora esistenti, ed ancora con i servizi sociali comunali con le loro funzioni di presa in carico attribuite loro dalla legislazione nazionale (art. 14 legge 328/2000) e regionale (art.6 legge 3 2008), ed ancora con le UONPIA per quanto riguarda i minori.

Una prima possibile indicazione può arrivare da alcuni passaggi della delibera 116 che prevede l'istituzione di un nuovo Fondo Famiglia regionale. Infatti tra le aree di intervento viene previsto da un lato di "potenziare le funzioni consultoriali (...) con l'apertura di uno spazio dedicato alle famiglie con minori con gravi disabilità" finalizzati alla co-progettazione degli interventi ed allo sviluppo di interventi di auto mutuo aiuto."

Per le persone adulte con gravi disabilità si prevede "La definizione di una modalità unitaria di presa in carico integrata e dei conseguenti interventi ad essa dedicati, in una logica di collaborazione pubblico privato e di superamento dell'attuale frammentazione e sovrapposizione, anche in esito alle sperimentazioni/attività in corso (CEAD, Centri vita autonoma indipendente, PUA, sportelli fragilità e quant'altro)."

In questi passaggi sembra emergere la consapevolezza di come la attuale frammentazione anche dei luoghi della presa in carico sia un problema reale da affrontare e risolvere. Una apertura che non riguarda solo chi svolge le funzioni tradizionali di sportello, ma in cui si prevede di coinvolgere i gestori delle unità d'offerta per rendere possibili lo sviluppo e la realizzazione di "progetti centrati sulla persona e sulle sue aspettative ottimizzando il complesso delle risorse e delle competenze presenti"

Si arriva così a differenziare la tipologia delle diverse prese in carico tra quella messa in capo ai singoli enti gestori e quella che prevede un processo più ampio per "l'attivazione degli interventi (...) la presa in carico globale ed integrata delle famiglie e dei suoi componenti fragili da parte degli Enti territoriali competenti - ASL e Comuni". Un riconoscimento di funzione e di responsabilità importante per le istituzioni pubbliche territoriali.

La questione si complica quando la Regione è chiamata ad indicare quali siano le iniziative concrete che intende mettere in campo. Il tema è affrontato dalla Delibera 116. Le persone con gravi disabilità sono una delle 4 categorie individuate come destinatarie di nuovi interventi, a fronte di una previsione di uno stanziamento economico significativo, complessivo di 330 milioni di euro di cui 180 destinati proprio al mondo della disabilità. In particolare sembrano essere i minori con disabilità i beneficiari principali di questi nuovi interventi:

"(...) particolare attenzione deve essere posta a:
- minori con gravi e gravissime disabilità o con patologie in fase terminale;
- minori con disturbi pervasivi dello sviluppo (es. autismo, etc) e/o con problemi comportamentali gravi;
- minori e adulti in stato vegetativo, di minima coscienza, Locked In;
- minori e adulti con malattie neurologico-degenerative (es. Corea diHuntington, forme gravi di distrofia o di miopatia, etc);
- minori o adulti con malattie del motoneurone in fase avanzata (es.SMA, SLA, sclerosi multipla, etc);
- persone con patologia psichica in fase di cronicità;"


Questo elenco di priorità non viene purtroppo giustificato: su quali dati, informazioni e segnalazioni si basano queste scelte?

Un ulteriore elemento di perplessità è la tendenza, in continuità con precedenti atti amministrativi, di individuare i potenziali beneficiari di interventi per tipologia di menomazione (Autismo, Corea di Huntigton, Sma, Sla, Sclerosi Multipla). Una scelta che segnala la fatica dell'amministrazione regionale di staccarsi da un approccio sanitario alla disabilità per abbracciare con convinzione quello sociale, così come le previsioni sulla Presa in carico sembrerebbero prevedere. E' infatti difficile giustificare altrimenti il fatto che persone con eziologie diverse ma bisogni socio assistenziali equivalenti abbiano accesso o meno a benefici di carattere economico o di servizio.

Le modalità di intervento elencate sono i buoni ed i voucher socio-sanitari e quindi in continuità con la situazione vigente, seppure all'interno della cornice della presa in carico così come descritta. Una mediazione tra modelli di intervento fino ad ora considerati poco compatibili la cui efficacia sarà valutabile solo a seguito dei primi atti applicativi. Da rilevare però che le modalità di riparto del Fondo Sociale Regionale per il 2013 prevedono una semplice ripartizione delle risorse ai Piani di Zona, in parte su base storica e in parte su quota capitaria: l'anno scorso la quota destinata ai servizi per la disabilità era stata invece vincolata in forma di voucher, creando non pochi problemi amministrativi ai comuni lombardi. Un segno tangibile di valorizzazione dell'autonomia delle istituzioni locali e una presa di distanza dall'ipotesi di ulteriore radicalizzazione del sistema dotale.

La scheda A della DGR 116 presenta in forma sintetica le caratteristiche dei nuovi interventi che saranno messi in campo grazie ai fondi aggiuntivi, che è opportuno ripetere, sono per il momento solo "previsti" e non ancora identificati.

Abbiamo già visto come i destinatari di queste misure siano le persone con gravi disabilità definite come persone che dipendono "in toto o in parte, da un accudente per veder assicurate: le funzioni vitali (...), le funzioni primarie, la vita di relazione". Una definizione che segnala, ancora una volta, la persistenza di un approccio sostanzialmente sanitario - assistenziale che pone la sua attenzione alla condizione di salute psico-fisica della persona. Vengono invece tralasciati gli aspetti sociali, già previsti dalla stessa definizione di "gravità" della legge 104/92 ed oggi al centro della definizione di disabilità dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (ICF) come dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

Nel sistema dei servizi vengono individuate due criticità: la prima relativa ai servizi dedicati "all'accoglienza residenziale e diurna di minori, di età inferiore ai 16 anni, con disabilità grave e gravissima che conseguentemente vengono esclusivamente accuditi dalle loro famiglia".

La seconda fa invece riferimento "a disabilità conseguenti a patologie neurodegenerative, post traumatiche e a disturbi pervasivi dello sviluppo -indipendentemente dall'età- non trovano oggi una risposta, che sarebbe più appropriata, all'interno della rete di unità d'offerta per la grave disabilità per carenza di posti e disomogenea distribuzione territoriale".

Ci si chiede, ancora una volta su quali basi di conoscenza si basino queste affermazioni.

In particolare destano alcune preoccupazioni le valutazioni che riguardano i bambini e ragazzi con disabilità che è indubbio che vivano oggi, insieme alle loro famiglie una situazione di disagio e precarietà, più volte segnalati attraverso i mezzi di comunicazione, ma anche l'attività pubblica delle associazioni e delle organizzazioni di terzo settore. La previsione che sottointende all'analisi regionale fa pensare che questa situazione di disagio sia causata dalla carenza di centri diurni piuttosto che di comunità e residenze destinate in modo specifico ai bambini e ragazzi con disabilità.

Da dove emerge questa certezza ?

Una analisi seppure sommaria dei problemi fino ad oggi segnalati dalle famiglie con disabilità e dalle loro associazioni porta in evidenza altri punti critici, non presenti nelle indicazioni della delibera:


In questo contesto ci si chiede se l'investimento in servizi semiresidenziali e residenziali sociosanitari, non possa incoraggiare questa tendenza all'emarginazione sociale dei bambini e ragazzi con disabilità al posto che scoraggiarla. Sarebbe forse meglio prevedere investimenti sull'integrazione e inclusione sociale e scolastica di tutti i bambini e ragazzi con disabilità, ribadendo che è un obiettivo realistico e possibile per tutti, se accompagnata dai giusti interventi e supporti.

La questione dei diritti sociali dei bambini e ragazzi con disabilità potrebbe essere forse una buona area dove aprire, anche in via sperimentale, il cantiere dei Livelli Essenziali di Assistenza Sociale, dato che ci troviamo in un contesto dove i diritti umani e sociali godono di una particolare protezione ed attenzione, anche a livello legislativo.

Una parziale attenzione a queste considerazioni, sembra emergere quando la delibera definisce le aree di intervento, ribadendo la centralità della presa in carico dei minori e delle loro famiglie da parte dei consultori e ponendo come obiettivo il potenziamento delle risposte domiciliari integrate. Un'attenzione a cui seguono proposte ed intenti invece "ad alto tasso di protezione". Non si tratta in questa sede di giudicare preventivamente in modo negativo queste strutture, la cui utilità, soprattutto nel fronteggiare temporaneamente alcune situazioni è indubbia. Non si può non segnalare il rischio di come, nell'attuale contesto sociale e culturale, si creino le basi per un ulteriore sostegno ad interventi di carattere speciale e separato in un momento in cui i servizi territoriali e di carattere promozionale ed inclusivo versano in uno stato preoccupante di crisi di risorse e di precarietà organizzativa.

Interessante e significativa l'ipotesi di aumentare la capacità di risposta dei servizi per le persone con disabilità adulte, cercando di promuovere iniziative dedicate a chi oggi non trova risposte adeguate nella rete delle offerte esistenti, con una particolare attenzione ai progetti di vita indipendente o a forme di residenzialità assistita diverse e di minor peso di quelle accreditate.


Conclusione

Come si è più volte accennato, le prime indicazioni della nuova Amministrazione Regionale in tema di welfare sociale e disabilità, appaiono caratterizzate da una prudente discontinuità con quelle delle Giunte precedenti. Una prudenza forse giustificata dal tasso di radicamento del cosiddetto modello di welfare lombardo, così come si è andato configurando dai provvedimenti di riforma realizzati nel periodo 2003 - 2010.

L'elemento di maggiore innovazione è senz'altro quella della introduzione di servizi dedicati alla presa in carico. Una intenzione chiara con ancora molti elementi da chiarire sia rispetto alla stessa definizione di presa in carico che ai servizi deputati a svolgere questa delicata funzione ed alla relazione con l'insieme della rete degli interventi. Una situazione che potrebbe riaccendere l'interesse sulla proposta elaborata nel 2011 da un gruppo di lavoro promosso da Ledha che in tema di Livelli Essenziali di Assistenza Sociale poneva una particolare attenzione proprio al tema della presa in carico globale, continuativa e in mano pubblica.

Importanti elementi di innovazione che convivono con elementi di continuità nelle modalità di attuazione delle misure, ovvero attraverso la previsione di erogare buoni per sostenere le capacità assistenziali delle famiglie e di nuove unità di offerta da accreditare e successivamente da finanziare con voucher socio-sanitari. Nuove unità di offerta che, occupandosi di bambini e ragazzi con disabilità destano alcune preoccupazioni circa possibili esiti di isolamento dal proprio contesto di vita sociale.

 

 

Articolo già pubblicato su LombardiaSociale.it.

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