Persone con disabilità in Lombardia: alla ricerca di un punto di riferimento
Giovanni Merlo ci propone una analisi tecnica del PAR per le politiche in favore delle persone con disabilità. Un'occasione di riflessione critica di un processo e di un lavoro di cui è stato testimone e parte attiva.
Nel dicembre 2010 la Giunta della Regione Lombardia delibera il Piano di Azione Regionale per le politiche in favore delle persone con disabilità. A distanza di 18 mesi non si hanno notizie circa l'istituzione dei Centri per la Famiglia e del Case Manager, ovvero di quel sistema di servizi immaginati dal Piano per garantire la presa in carico delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Quali sono i problemi che stanno impedendo l'implementazione di questa parte del Piano, considerata centrale nell'evoluzione e sviluppo delle politiche sociali regionali in Lombardia?
PAR: speranze tradite?
Il PAR Disabilità ha suscitato nelle persone con disabilità e nelle loro organizzazioni molte aspettative. Lombardia Sociale si è già occupata del tema sia per presentarne i contenuti che raccogliendo diversi punti di vista. La diffusa percezione dello scarso livello di attuazione del PAR ha trovato conferma in una prima valutazione del Piano
"Nel complesso il Piano d'Azione Regionale per le politiche in favore delle persone con disabilità è, nei fatti, un cantiere aperto, con importanti lavori in corso ma con ancora pochi risultati evidenti e tangibili. (...) Un lavoro i cui frutti si scorgono in modo parziale e frammentario anche in ambito sociosanitario e socio assistenziale, dove l'approccio che ha generato l'attuale modello di welfare mantiene inalterato il suo peso senza essere particolarmente scalfito dalle rilevanti novità culturali e di visione portate dal PAR."
Una situazione che nel corso dei mesi successivi non è sostanzialmente mutata. Senza negare l'importanza degli aspetti politici e di quelli connessi alla comunicazione, vorrei semmai formulare l'ipotesi che il mancato raggiungimento degli obiettivi previsti dal PAR, in particolare sul tema della presa in carico, sia da imputarsi prima di tutto a una debolezza intrinseca al documento di programmazione.
PAR: dal dire al fare cosa è mancato?
Nel suo complesso il PAR, appare come un documento di pianificazione molto ambizioso, con una forte investitura politica, con un ancoraggio forte nell'approccio alla disabilità basato sui diritti umani. Un Piano che si rivolge quasi interamente all'azione diretta della Regione Lombardia, definendo con una certa chiarezza gli obiettivi generali, alcuni risultati operativi e le responsabilità in fase di attuazione. Le difficoltà che si stanno registrando in fase di implementazione possono essere ricondotte innanzitutto ad un processo programmatorio esogeno, cioè delegato a professionisti esterni e ad una scarsa permeabilità al flusso di informazioni provenienti dall'esterno. Il testo presenta una serie di debolezze nell'analisi sommaria del contesto istituzionale, normativo e sociale e nella poca attenzione alla conoscenza dell'esistente. L'identificazione degli obiettivi generali non si tramuta in una serie di risultati auspicati specifici, misurabili, attuabili, realistici e posti nel tempo, il che nega e invalida la possibilità stessa di programmare. Di conseguenza non vengono definiti nel testo standard, indicatori, incentivi e strumenti di premialità, dispositivi e procedure di controllo, monitoraggio e valutazione, tempi e fasi di attuazione: non viene affrontato il tema del costo del Piano e delle modalità di reperimento ed orientamento delle risorse, umane in primo luogo, ma conseguentemente anche economiche e fisiche/immobiliari, necessarie per attuarlo.
Più conoscenza interna, poco spazio alle informazioni dal territorio
Un indubbio risultato raggiunto dal processo che ha portato al Piano è stato la creazione del GAT Disabilità [1]: la sua attivazione ha consentito la reciproca conoscenza fra funzionari e dirigenti delle diverse DG regionali ed il confronto su quanto le diverse direzioni svolgono in favore delle persone con disabilità. Un flusso di informazioni, tuttavia, che si è limitato, al perimetro della azioni della Giunta regionale senza coinvolgere altri attori, istituzionali e non. La scarsa "permeabilità" verso l'esterno del processo di formazione del PAR non ne ha impedito una sua forte legittimazione iniziale, dovuta sia all'investitura diretta del Piano da parte del Presidente Formigoni che per i contenuti fortemente innovativi che sono stati portati, in termini di principi e visioni. Temi come il diritto alla Vita Indipendente, ripreso direttamente dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, oppure come la necessità di funzioni di presa in carico globale erano, fino ad allora, estranei al linguaggio della Regione, totalmente assorbito dall'affermazione del principio della centralità della persona declinato esclusivamente come diritto alla libertà di scelta. Nelle diverse fasi di lavoro l'attività di informazione da parte della Regione è stato di carattere unidirezionale, dal centro verso la periferia, per comunicare l'esistenza del Piano stesso. Quando si è prevista un'interazione questa è avvenuta secondo lo schema "la Regione domanda, il soggetto risponde" impedendo di fatto l'irrompere nel processo di programmazione di dati ed informazioni in qualche modo non attesi dal programmatore.
Il GAT Disabilità ha visto avviare la sua attività raccogliendo informazioni sulle iniziative in essere nelle diverse DG in favore delle persone con disabilità: la scrittura del Piano però non è stata realizzata direttamente da personale regionale ma è stata affidata ad un gruppo di esperti esterni, denominato "Task force". Successivamente all'adozione del PAR Disabilità da parte della Giunta regionale questa "Task force" non è stata più convocata mentre sono continuati con cadenza regolare gli incontri del GAT e si sono avviati alcuni gruppi di lavoro interni. Sul piano della comunicazione la Giunta regionale ha dedicato al PAR Disabilità una pagina del sito internet della DG Famiglia, Integrazione e Solidarietà Sociale ed ha stampato una brochure denominata "Liberi di Essere".
Dal percorso al perimetro: il rischio dell'autoreferenzialità
Il perimetro del PAR sono le azioni dirette della Giunta della Regione Lombardia sui temi della disabilità, sia in termine erogativi diretti che in termini regolativi. E' un punto di chiarezza e quindi di forza, in quanto la Regione pianifica su ciò che controlla in modo diretto e gerarchico: nello stesso tempo è un punto critico in quanto contiene una rinuncia implicita all'integrazione ed all'orientamento delle politiche fra le diverse istituzioni e fra queste e la società civile. Le iniziative nate nel territorio, chiamate "sperimentazioni", vengono analizzate solo nella misura in cui hanno la possibilità di essere incluse nelle politiche sociali regionali.
Le analisi PAR: tutta colpa dell'informazione?
Il documento, in forma di allegato alla DGR 983, è suddiviso in due testi distinti. Il primo viene denominato come il Piano vero e proprio, il secondo come Relazione tecnica, composto a sua volta da un testo e da una tabella descrittiva dei provvedimenti da assumere in fase di implementazione. Senza entrare nello specifico di ogni singola affermazione, già nella prima parte del documento, si possono cogliere alcuni elementi importanti utili per l'analisi. Il mandato politico risulta forte, evidente e trasparente dalla doppia prefazione, una a firma del Presidente Formigoni ed una dell'Assessore alla Famiglia Boscagli. Nella prefazione del Prof. Melazzini e nei testi introduttivi si possono cogliere alcuni elementi di analisi che saranno assunti come paradigmi dell'intero processo, a mio avviso, molto deboli:
* La situazione dei servizi e delle opportunità esistenti, pure raccolti in modo sistematico dal GAT, non viene presentata e non viene utilizzata come punto di partenza del lavoro di programmazione, rinunciando implicitamente ad ogni forma di incrementalismo.
* I problemi fondamentali delle persone con disabilità in Regione Lombardia vengono connessi alla mancanza di informazioni sulle opportunità presenti in loro favore sul territorio ed alla frammentazione dei servizi e delle politiche. Un'affermazione assunta senza riferimento a fonti informative e senza particolari giustificazioni, in continuità con la forte attenzione che Regione Lombardia ha avuto negli anni verso l'offerta piuttosto che al bisogno.
* I bisogni delle persone con disabilità vengono dichiarati oggi non leggibili e non conoscibili per via della scarsità di fonti statistiche, rinunciando ad acquisire dati ed informazioni sulle condizioni di vita delle persone da altre fonti, istituzionali e "sociali", come ad esempio gli enti di terzo settore, i sindacati, le associazioni datoriali,...
* Il passato non viene analizzato in modo critico. Interessante rilevare come, nel paragrafo dedicato al contesto normativo, grande spazio venga riservato ai principi enunciati dai testi internazionali mentre vengono dedicati due righe di testo alla legge 328/2000 e nessuna citazione viene riservata alla legge regionale 3/2008 come al processo di riforma e riordino dei servizi sociali che ha impegnato la Giunta dal 2003 al 2009, creando di fatto quello che è conosciuto come "Modello di welfare lombardo".
Gli obiettivi del Piano: lontani dalla realtà?
Uno degli esiti di questa debolezza analitica può essere rappresentato dalla presentazione generale degli obiettivi e delle strategie, che sono molto generici e senza alcuna connessione specifica con la realtà lombarda. Nel documento, ogni punto viene declinato per diverse sotto-aree, dove vengono indicati obiettivi specifici. Si tratta di un'analisi ancora descrittiva della situazione e delle finalità che raramente passa alla definizione di risultati misurabili nel tempo. Osservando l'esempio riportato in tab.1, a parte la difficoltà di cogliere il nesso tra la necessità di dare sostegno alla famiglia e l'obiettivo di aggiornare la CRS, si tratta, dal punto di vista dei contenuti, di tematiche facilmente condivisibili in qualunque regione italiana ed europea.
Tab.1 - Strategie e obiettivi del Par
Le direttrici della strategia lombarda nelle politiche per la disabilità | Obiettivi specifici: esempio "Garantire la continuità di risposte" / area del "Sostegno alla famiglia" |
-Garantire la continuità di risposta lungo tutto l'arco della vita -Garantire reale accessibilità e fruibilità -Costruire una rete integrata dei servizi
| -Garantire la diagnosi precoce e l'accompagnamento della famiglia -Definire strumenti di valutazione del profilo funzionale -Offrire un luogo unico per la presa in carico della famiglia -Garantire un sostegno destinato alla cura del bambino -Aggiornare la carta regionale servizi (crs) con i dati delle persone con disabilità |
Né in questa parte del documento né in altre successive o precedenti il programmatore si preoccupa di:
* presentare ed analizzare l'esistente, valutandone i punti di forza e di debolezza;
* descrivere se e in che misura le risposte oggi esistenti garantiscono la continuità delle risposte;
* illustrare le cause che hanno limitato fino ad oggi l'efficacia di queste risposte;
* individuare, in una logica incrementale, i cambiamenti possibili nel tempo per raggiungere quei risultati misurabili che dovrebbero permettere il miglioramento della situazione.
Una carenza notevole se si tiene conto che, in Lombardia, una delle aree di bisogno maggiormente coperte riguarda proprio la presa in carico dei bambini con disabilità, grazie alla rete capillare di servizi di carattere sanitario (Neuropsichiatra infantile e Centri di riabilitazione), sociale (Comuni ed organizzazioni no profit) e ad un sistema scolastico particolarmente sensibilizzato sul tema. La credibilità del testo di essere uno strumento efficace di cambiamento e di promozione del miglioramento della rete dei servizi viene qui fortemente minata. Non aver analizzato con cura la situazione esistente, fa spostare l'attenzione del programmatore su soluzioni molto generiche, quasi di buon senso, secondo una visione della realtà parziale e non ancorata né a dati certi né a un flusso di informazioni provenienti dai diversi attori sociali. La mancanza di una logica incrementale non costringe il Piano a porre da subito la definizione dei ruoli e delle funzioni. La mancata definizione di obiettivi "SMART" ovvero Specifici, Misurabili, Attuabili, Realistici e articolati su un orizzonte temporale (Timing) si ripete in tutti i paragrafi del capitolo che illustra gli obiettivi. Emergono in questa parte del documento le conseguenze dell'affermazione iniziale che, identificando nella carenza di informazioni e nella frammentazione dei servizi la causa fondamentale dei problemi delle persone con disabilità, impedisce al programmatore di cogliere gli elementi di inadeguatezza strutturale e culturale che limitano l'efficacia del sistema di risposta ai bisogni sociali delle persone con disabilità.
La questione delle risorse
In questo contesto di indeterminatezza, non viene mai posto il problema delle risorse umane, economiche e strutturali necessarie per realizzare i Centri per la Famiglia e diffondere la figura del Case Manager come previsto dal PAR. In un contesto come quello attuale, contrassegnato dalla carenza di risorse economiche le possibilità di successo di una pianificazione di tipo sociale, sono ancora più connesse alla capacità del programmatore di prevedere un forte investimento, fatto di attività di formazione, supervisione, confronto e scambio, sulle "risorse umane", ovvero su quelle persone che dovranno fare proprio gli obiettivi e le previsioni del Piano per poi realizzarli. Il Piano dedica invece al tema delle risorse dedica un paragrafo a sé, nella prima parte "Sostenibilità: per una responsabilità sociale diffusa" occupandosi però solo delle risorse di carattere economico, attraverso affermazioni abbastanza generiche. In sintesi, si da per acquisita la scarsità di risorse pubbliche facendo riferimento ad un "approccio bottom up" che si traduce nella scelta di un sistema di sostegno alla domanda, senza porsi il problema di come questa possa convivere con quella dichiarata di porre al centro della governance dei servizi, realtà come i Centri per la Famiglia piuttosto che il Case Manager. Si immagina una logica di integrazione tra i diversi livelli istituzionali, spingendosi a guardare con interesse al sistema di mutue, assicurazioni e fondazioni come possibile fonti di risorse, senza che queste siano citate come attori del Piano in nessun'altra sua parte.
I Centri per la famiglia e d il Case Manager: la parole non bastano
Leggendo la pubblicazione "Liberi di essere", i due obiettivi presentati come fondamentali sono l'attivazione del Case Manager e il miglioramento della condizione di accessibilità. Alla figura e alla funzione del Case Manager viene dedicato un paragrafo ad hoc del Piano (pag. 16):
Accompagnamento della persona e della famiglia - I centri per la famiglia e il Case Manager
"La Regione Lombardia vuole implementare il sistema di servizi alla persona tramite la messa a sistema della figura dei centri per la famiglia e del Case Manager inteso quest'ultimo come l'operatore che si fa carico della persone con disabilità e della sua famiglia (...) e li accompagna nella fruizione dei servizi (...)"
Tab.2 - Le funzioni del Case Manager
-presa in carico diretta -gestione di colloqui -elaborazione del piano personale -facilitazione della persona e della famiglia nella gestione delle risorse finanziarie -collaborazione con le strutture della rete -tutoring e monitoraggio |
Si tratta di una figura che, in questi termini, non esiste in Regione Lombardia. Non tanto perché non esistano operatori che già non svolgano funzioni di presa in carico, quanto perché il Case Manager viene posto al centro del sistema del funzionamento dei servizi per le persone con disabilità. Si tratta, come accennato, della novità più rilevante del PAR. Le politiche sociali regionali degli anni 2003 - 2009 hanno infatti contrapposto in modo dichiarato il perseguimento della "Libertà di scelta" del servizio ai servizi di valutazione del bisogno, che erano in capo alle Asl (in gran parte smantellati), piuttosto che a quelli di presa in carico tipici dei Comuni a cui è stata tolta la funzione di regia dei progetti personali. Tutto è stato delegato al rapporto diretto fra famiglie ed enti gestori, con il supporto di sistemi di doti, buoni e voucher per l'acquisto di servizi e prestazioni. Le funzioni di questo Case Manager potrebbero essere paragonabili a quelle di un'assistente sociale inserita in servizio di segretariato sociale pubblico, dotato di grande autorevolezza e di adeguate risorse, ma la scelta del Piano porta in un'altra direzione. La strategia viene così definita:
* sviluppare i Centri per la Famiglia
* rendere effettiva la figura del Case Manager
* sviluppare e promuovere la conoscenza dell'ICF
* inserire la presenza del Case Manager all'interno di un sistema di accreditamento regionale
* creare infrastrutture e strumenti materiali adatti all'efficacia del Case Manager.
Per come viene presentato, si intuisce che il Centro per la Famiglia possa considerarsi un'evoluzione dell'attuale Consultorio. I futuri "Centri" dovrebbero diventare i luoghi della presa in carico delle persone con disabilità e dei loro nuclei familiari e la figura centrale per il loro funzionamento dovrebbe divenire il Case Manager; il condizionale è ancora una volta d'obbligo perché in nessun passaggio quest'ultima affermazione viene esplicitata. Anche in questo caso gli obiettivi posti sono tutt'altro che "Specifici, Misurabili, Attuabili, Realistici e Tempistici" ma, data l'importanza del tema , vale la pena verificare come il PAR affronti questo specifico punto, andando a leggere nella Relazione tecnica, la linea di interventi prevista per il raggiungimento degli obiettivi connessi ai Centri per la Famiglia ed al Case Manager.
I Centri per la famiglia ed il Case Manager: dalle parole ... ai fatti?
Nella Relazione Tecnica il tema dell'accompagnamento della persona e della sua famiglia viene abbinato, coerentemente con quanto già affermato, con quello dei Centri per la Famiglia ed il Case Manager.
Tab.3 - Le azioni previste
-"la creazione di luoghi di accoglienza per la persona e la famiglia che mettano a disposizione servizi di accessibilità e accoglienza, informazione, accompagnamento ai progetti di vita,... -la nascita di procedure e logiche di rete tra i centri per la famiglia e le farmacie dei servizi -l'istituzione dei Case Manager tramite la definizione di competenze, posizione funzionale, mansioni e distribuzione territoriale (...) -la definizione delle procedure di inserimento del Case Manager all'interno di regole che permettano il riconoscimento di questa figura -lo sviluppo della conoscenza dell'ICF (...) -la creazione di infrastrutture e strumenti materiali (...) adatti all'efficacia dell'attività dei centri per la famiglia e del Case Manager". Relazione tecnica, pag. 4 |
Data la complessità dei temi non ci si poteva certo aspettare una pianificazione di dettaglio ed era plausibile prevedere fasi successive di affinamento della stessa programmazione, anche prima di arrivare alla progettazione specifica degli interventi e alla loro implementazione. Il Piano però non riesce ad arrivare a definire, neanche per sommi capi, chi debba agire, in che direzione, con quali risorse, in che tempi e in quali spazi. E' probabile che nel programmatore sia prevalsa una logica di procrastinazione, evitando di fare emergere le critiche implicite all'attuale modello di welfare lombardo e la somma di problemi che, chi dovrà implementare il Piano, si troverà di fronte. La trasformazione del Consultori in Centri per la Famiglia e la definizione di un Case Manager al centro del sistema dei servizi, infatti, porrà molte questioni strutturali al sistema di welfare lombardo, ed è prevedibile che sarà generatore di molte resistenze che il Piano non affronta e non prende in considerazione. Questo approccio che riduce la programmazione all'indicazione di macro obiettivi e di macro risultati, senza affrontare l'insieme di problemi connessi alla loro implementazione, risulta anche nell'analisi della seconda parte della Relazione tecnica, denominata "Scheda operativa" dove sono riprese le diverse azioni previste dal PAR, ordinate per area di intervento e Area di attività indicando le Direzioni Generali di riferimento. L'unico pur importante elemento che la tabella aggiunge a quanto già detto nella Relazione Tecnica è l'identificazione di chi dovrà occuparsi di tradurre in atti e fatti quanto previsto dal Piano, ovvero in questo caso, la Direzione Generale Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà Sociale.
In sintesi
Le difficoltà che si stanno registrando in fase di implementazione sono riferibili a:
- un processo programmatorio esogeno, delegato a professionisti esterni
- una scarsa permeabilità al flusso di informazioni provenienti dall'esterno
- un'analisi sommaria del contesto istituzionale, normativo e sociale
- una scarsa attenzione alla conoscenza dell'esistente
- una mancanza di risultati auspicati specifici, misurabili, attuabili, realistici e posti nel tempo
- l'assenza del tema dei costi e delle modalità di reperimento ed orientamento delle risorse, umane, economiche e strutturali, necessarie per l'attuazione del Piano.
E' quindi in questi elementi di debolezza intrinseca del PAR Disabilità della Regione Lombardia che dobbiamo individuare le sue difficoltà di attuazione, prima ed oltre rispetto ad altre motivazioni di carattere morale e politico.
[1] Il GAT - gruppo di approfondimento tecnico - Disabilità, il cui coordinamento è stato affidato al Prof. Mario Melazzini, presidente di AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), è formato dai rappresentanti di quasi tutte le Direzioni Generali regionali (DG) con il supporto di due esperti esterni: Alberto Fontana, presidente di UILDM (Unione Lotta alla Distrofia Muscolare) e il sottoscritto, direttore di LEDHA (Lega per i diritti delle persone con disabilità).
Articolo già pubblicato su LombardiaSociale.it