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Persone con disabilità

A cura di Ledha

Archivio notizie

17/09/2012

Chi si fa carico dell’alunno con disabilità nelle scuole materne paritarie?

In una scuola materna paritaria chi deve pagare l’insegnante di sostegno? E’ possibile limitare la frequenza alle sole ore in cui è presente l’educatore? Alcuni quesiti posti da un’insegnante consentono di ribadire alcuni importanti principi.

Scrive a LEDHAscuola un'insegnante:

Lavoro in una scuola materna privata paritaria: la scuola non ha mai pagato nemmeno un'ora di insegnante di sostegno, lamentando ristrettezze economiche. E' giusto che degli alunni, segnalati e già certificati, si occupi solo l'assistente educatore del Comune?
Per un bambino di sei anni, per cui l'accertamento diagnostico si è concluso a giugno 2012, dopo un solo anno di frequenza, la neuropsichiatra che lo segue ha suggerito un anno di trattenimento prima di avviarlo alla scuola primaria. E' giusto che la scuola gli conceda di frequentare la scuola solo nelle ore in cui sarà affiancato dall'assistente ad personam?
Io ritengo che comunque la scuola, se pur paritaria, debba farsene carico e assumersi almeno la responsabilità educativa, incaricando un insegnante di stendere un progetto.

  1. Qual è il quadro legislativo di riferimento rispetto alla questione in oggetto? Rispetto all'obbligo o meno di avere un insegnante di sostegno?
  2. Può la scuola fare il ragionamento che fa, anche essendo ora il bambino "entrato" nell'obbligo scolastico?

 

Risponde Donatella Morra - Coordinatrice LEDHAscuola:

Gentile Insegnante,
il Suo discorso è corretto.

A partire dall'accertamento diagnostico per la Regione Lombardia (v. la nuova DGR con le Linee Guida aggiornate al 2011, che val la pena di leggere attentamente) per ogni alunno è perfezionato l'iter per accedere ai benefici di legge e la neuropsichiatra, o comunque l'equipe che ha in carico l'alunno, dovrebbe aver steso e consegnato alla famiglia la Diagnosi Funzionale (il cui modello standard è contenuto nelle Linee Guida per l'accertamento), in cui lo specialista indica anche le risorse occorrenti per la sua integrazione: la necessità o meno di sostegno didattico specialistico, di assistenza educativa, assistenza igienica, ecc. La famiglia dovrebbe averla poi consegnata alla scuola, che non può ignorarla.

Dal 2010 (v. il documento che LEDHAscuola ha elaborato in proposito) la legislazione prevede anche che dopo la D.F. anche la scuola nel PEI (Piano Educativo Individualizzato) scriva con precisione quante ore di insegnante di sostegno e di assistente educativo e quali supporti di altro tipo (sussidi, postazioni informatiche, ausili per il trasporto, abbattimento barriere, ecc.) occorrano per l'integrazione dell'alunno.
Io capisco che giugno 2012 è tardi per fare tutto questo ma comunque la scuola dovrebbe aver deliberato, motivandolo con un progetto circostanziato, sia il trattenimento del bambino, sia una bozza di PEI per lui (da perfezionare nei primi mesi di questo anno scolastico e trasmettere, dopo averlo aggiornato, alla scuola primaria che lo accoglierà nel 2013/14).
Fa bene Lei quindi a battersi perché anche la scuola, se pure con il ritardo in parte dovuto anche alla tardiva certificazione, faccia la sua parte per questo bambino (e per tutti gli altri che la frequentano). Ripeto però che la richiesta anche solo di assistenza educativa deve essere motivata nei documenti di programmazione che la scuola ha il dovere di stendere dopo la certificazione.

Quanto al quadro legislativo, relativo ai trattenimenti, le ricordo che la L. 53/03 della riforma Moratti ed il Decreto n. 59/04, applicativo della stessa, stabiliscono che solo in via eccezionale e fortemente motivata il Consiglio di classe o interclasse può decidere di far permanere nelle stessa classe un alunno.

La motivazione sta nel fatto di non creare un divario di età fra il bambino con disabilità ed i compagni, che crea grosse difficoltà per l'integrazione e perché sia fortemente stimolato dalla presenza di coetanei coi quali si relaziona.

Anche le recenti Circolari Ministeriali (v. Circolare 110/2011 sulle iscrizioni 2012/13) specificano che "debbono iscriversi alla classe prima della scuola primaria i bambini che compiono sei anni di età entro il 31 dicembre 2012".

Occorre, ogni qual volta si decide di optare per il trattenimento, discutere il caso in GLH operativo (Gruppo di Lavoro per l'Handicap), con la presenza di tutti i docenti, i genitori e gli operatori sociosanitari di territorio. Il Dirigente Scolastico non può ignorare infatti il parere della ASL, dell'insegnante di sostegno e della famiglia. La Circolare Ministeriale 235 del 5 settembre 1975, che ha trattato nel dettaglio l'argomento, ha stabilito che la permanenza alla scuola dell'infanzia oltre il sesto anno di età deve essere considerata una situazione eccezionale e la decisione in tal senso deve seguire una procedura specifica, che deve essere osservata scrupolosamente:
- il collegio dei docenti deve deliberare in merito;
- è necessario acquisire il parere dello specialista ASL che segue l'alunno;
- deve essere acquisito formalmente il consenso dei genitori;
- deve essere predisposto dalla scuola un progetto specifico con la spiegazione dettagliata degli interventi didattici e pedagogici che si intendono effettuare ai fini del trattenimento
In sostanza, quindi, è possibile far permanere un bambino disabile nella scuola dell'infanzia senza violare la legge sull'obbligo scolastico. Ne consegue che il dirigente scolastico della scuola primaria che dovrebbe accogliere il bambino come obbligato, dovrà essere informato dalla scuola dell'infanzia circa la decisione assunta, altrimenti sarà costretto a mettere in moto la procedura per il controllo dell'assolvimento dell'obbligo scolastico.
Nel caso di questo bambino è stata osservata questa procedura?

Se la scuola paritaria, con la consulenza dello specialista, ha optato per il trattenimento nel rispetto di questa procedura, non vi è differenza tra obbligo e non obbligo, perché la Legge 104/92, ("Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate") all'articolo 12 comma 1 dispone che "al bambino da 0 a 3 anni handicappato è garantito l'inserimento negli asili nido", e aggiunge inoltre al comma 2 che è "garantito il diritto all'educazione e all'istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie".
Questa garanzia è accentuata dal grado di disabilità dell'alunno: infatti l'art. 3, c. 3 della Legge 104/92 afferma che "Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici."
Quindi è un diritto esigibile per il bimbo con disabilità, a maggior ragione se grave, ancor prima dell'obbligo scolastico, la frequenza dell'asilo nido e della scuola d'infanzia, indipendentemente dal fatto se l'istituto che lo accoglie sia statale, comunale o privato paritario.

Per quanto poi concerne la scuola paritaria non statale, va ricordato che la Legge 62 del 10/3/2000, che introduce nel sistema ordinamentale dell'istruzione la parità per la scuola non statale, pone fra i requisiti richiesti a quest'ultima per accedere al riconoscimento "l'applicazione delle norme vigenti in materia di inserimento di studenti con handicap o in condizioni di svantaggio", come ribadito da tutte le principali disposizioni applicative (CCMM n.163/00 e n.31/03).

In base infatti alla Legge n. 62/2000 si definiscono Scuole paritarie, a tutti gli effetti degli ordinamenti vigenti, in particolare per quanto riguarda l'abilitazione a rilasciare titoli di studio aventi valore legale, le Istituzioni scolastiche non statali, comprese quelle degli Enti locali, che, a partire dalla Scuola per l'infanzia, corrispondono agli ordinamenti generali dell'istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e sono caratterizzate da requisiti di qualità ed efficacia di cui all'art. 1 commi 3, 4, 5 e 6 Legge n. 62/2000.

Alle Scuole paritarie private è assicurata piena libertà per quanto concerne l'orientamento culturale e l'indirizzo pedagogico-didattico. Tenuto conto del progetto educativo della Scuola, l'insegnamento è improntato ai principi di libertà stabiliti dalla Costituzione repubblicana. Le Scuole paritarie, svolgendo un servizio pubblico, accolgono chiunque, accettandone il progetto educativo, richieda di iscriversi, compresi gli alunni e gli studenti con handicap.

Le riporto uno spezzone della Legge 62/2000, composta da un unico articolo, relativo al nostro quesito:

art. 1, comma 4. La parità è riconosciuta alle scuole non statali che ne fanno richiesta e che, in possesso dei seguenti requisiti, si impegnano espressamente a dare attuazione a quanto previsto dai commi 2 e 3 dell'art. 1:

a _ un progetto educativo in armonia con i principi della Costituzione; un piano dell'offerta formativa conforme agli ordinamenti e alle disposizioni vigenti; attestazione della titolarità della gestione e la pubblicità dei bilanci;

b_ la disponibilità di locali, arredi e attrezzature didattiche propri del tipo di scuola e conformi alle norme vigenti;

c_ l'istituzione e il funzionamento degli organi collegiali improntati alla partecipazione democratica;

d_ l'iscrizione alla scuola per tutti gli studenti i cui genitori ne facciano richiesta, purchè in possesso di un titolo di studio valido per l'iscrizione alla classe che essi intendono frequentare;

e_ l'applicazione delle norme vigenti in materia di inserimento di studenti con handicap o in condizioni di svantaggio;

f_ l'organica costituzione di corsi completi: non può essere riconosciuta la parità a singole classi, tranne che in fase di istituzione di nuovi corsi completi, ad iniziare dalla prima classe;

Le Scuole private, se ottengono la parità scolastica ai sensi della Legge n. 62/2000, sono obbligate quindi, pena la perdita della parità, a rispettare la Legge 104/92 e le leggi vigenti sull'integrazione scolastica in Italia.

Certo è che le scuole paritarie ricevono solo un contributo parziale per le spese a copertura dei costi dell'insegnante di sostegno, riconosciuto dall'art.1, comma 15, della Legge 62/2000, e solo le scuole paritarie secondarie possono accedere a un altro finanziamento, previsto dal Decreto Ministeriale 27/2005, presentando, nei termini fissati annualmente dal Ministero, un progetto di integrazione scolastica per l'anno scolastico successivo, corredato di certificazione di handicap e piano finanziario.

Purtroppo, in tempi di tagli pesanti alle risorse, le scuole paritarie tendono sempre più a far desistere i genitori dall'iscrizione, oppure, altrettanto illegalmente, a chiedere ai genitori, oltre alle normali spese di frequenza, contribuzioni alle spese per il sostegno o, come nel vostro caso, a rivalersi totalmente sul Comune richiedendo l'intervento di una figura, come quella dell'assistente educativo di competenza dell'Ente Locale, cui dare una delega completa dell'integrazione dell'alunno con disabilità. All'assistente ad personam (il cosiddetto "educatore") la legge assegna compiti diversi da quelli dell'insegnante di sostegno (alle cui spese deve invece far fronte la scuola, statale o non statale): egli si dovrebbe infatti occupare non tanto della didattica, ma delle autonomie personali e sociali del bambino e della sua socializzazione.

La scelta di ricorrere all'assistente ad personam (anche per tutto l'orario) potrebbe essere giustificata; essa però non deve dipendere da motivi economici (dal fatto che la scuola non si può accollare il costo di un insegnante di sostegno) o dall'esigenza di "coprire" tutte le ore scolastiche, ma deve essere motivata dal Piano Educativo Individualizzato steso dal GLHO (Gruppo di Lavoro Operativo, che la scuola deve attivare con la partecipazione di tutti gli insegnanti del bambino, curricolari e di sostegno, dello specialista o dell'equipe socio-sanitaria che ha in carico l'alunno, dell'educatore dell'Ente Locale, in questo caso il Comune, e della famiglia).

La famiglia potrebbe far ricorso e adire alle vie legali, ma mi auguro che, anche con il vostro intervento, si possa appianare diversamente la questione, per il bene e il superiore interesse del bambino e per evitare alla sua famiglia un iter faticoso e pesante in tutti i sensi, non solo economici.

Disponibile a fornire ulteriori chiarimenti, nella speranza di essere stata di qualche aiuto, La saluto cordialmente e La ringrazio per il suo apporto di grande professionalità.

 

Donatella Morra - Coordinatrice LEDHAscuola

 

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