I Progetti 162/98: sacrificabili?
Giovanni Merlo, Laura Abet e Diletta Cicoletti ci offrono una panoramica sugli effetti prodotti dai tagli al welfare su uno strumento cardine per la vita indipendente
L'analisi fatta in occasione della ricerca confluita nel volume "Come cambia il welfare lombardo" aveva fatto emergere alcune questioni chiave che vorremmo provare a riprendere. L'indagine promossa in questi mesi sugli effetti dei tagli ha mostrato infatti che proprio i progetti Legge 162/98 sono tra gli interventi sacrificati e ridotti nel contesto di generale contrazione delle risorse.
Le caratteristiche dei progetti personalizzati Legge 162/98 [1]
Le finalità (si rifanno a quelle della Legge 104/92, Legge Quadro sull'handicap):
- promuovere la libertà e l'autonomia delle persone in situazione di handicap grave;
- agevolare la loro piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nella società;
- prevenire e rimuovere le condizioni invalidanti o che impediscono lo sviluppo della persona umana;
- perseguire il recupero funzionale e sociale;
- superare stati di emarginazione e di esclusione sociale.
Aventi diritto: Possono essere destinatari di piani di aiuto alla persona esclusivamente le persone con disabilità la cui fragilità è quella indicata all'articolo 3 comma 3 della Legge 104/1992 e sia stata accertata e certificata alla data di presentazione del piano.
Punto di forza che distanzia questo tipo di intervento dal vecchio modello assistenzialistico, è che sono la famiglia e la persona con disabilità stessa che scelgono il personale di fiducia per realizzare l'intervento; il punto di forza è anche la garanzia della qualità del servizio alla persona e quindi il miglioramento della qualità della vita della stessa, oltre che alla promozione del diritto ad una vita indipendente.
I dati raccolti nel 2010 da un campione di ambiti territoriali sui progetti relativi alla Legge 162/98 avevano mostrato un contesto differenziato di attribuzione del fondo, volto a sostenere la cura e l'assistenza della persona con disabilità al domicilio [2].
Il contributo dunque è poco adeguato se si fa un'analisi dei bisogni e delle domande che le famiglie portano e che le persone con disabilità hanno rispetto al tema dell'autonomia, della vita indipendente e del progetto di vita nella sua interezza. Tuttavia rimane di fondamentale importanza per sostenere culturalmente e, anche se solo in parte, sostanzialmente l'idea di vita autonoma e indipendente.
Negli anni passati, in Regione Lombardia, la Legge 162/98 utilizzata dagli ambiti territoriali è diventata un punto di riferimento molto importante per le famiglie, per le persone con disabilità, ma anche per i servizi sia pubblici che del privato sociale. Tutto l'iter della Legge 162/98 dal 2000 ad oggi rappresenta un forte esempio di politiche e di interventi sociali realmente a sostegno delle persone con disabilità e le loro famiglie, dove questi sono protagonisti attivi. I familiari e/o i destinatari degli interventi di assistenza sono i primi collaboratori dei servizi assistenziali, sociali e formativi rivolti a loro o ai loro congiunti.
I progetti Legge 162/98 ... fino al 2010
Alcuni ambiti territoriali in questi anni hanno scommesso sulla possibilità di questi progetti nell'integrare i servizi tra loro, facilitare la relazione delle famiglie con gli stessi, sostenere la possibilità per le persone con disabilità grave di restare al proprio domicilio (il 31,3% dei progetti), provando anche a sperimentare in qualche caso una vita indipendente (solamente il 14% dei progetti).
In qualche caso la Legge 162/98 ha rappresentato la possibilità di tenere collegati i progetti con il più complessivo sistema territoriale dei servizi. Ad esempio in molti contesti sono stati promossi e valorizzati i progetti presentati da partenariati locali, organizzati e partecipati anche attraverso meccanismi di co-finanziamento.
In una fase di espansione del tema della vita indipendente, con la stipula della convenzione ONU sui Diritti delle Persone con disabilità e la sua ratifica a livello nazionale, anche in Lombardia si erano messe in campo alcune ipotesi di miglioramento rispetto all'utilizzo della Legge 162/98: in primis l'integrazione delle risorse della stessa con tutte le altre risorse disponibili a livello territoriale, per garantire la sostenibilità nel tempo dei progetti di vita indipendente. L'assegnazione del fondo per la non autosufficienza ha consentito di sostenere questa politica.
Alcune esperienze locali hanno provato ad accompagnare percorsi di sperimentazione di vita autonoma, nei passaggi verso la maggiore età o verso la terza età, ma con percentuali di rimborso di molto inferiore rispetto alla attività di sostegno alla persona.
La stessa Regione Lombardia aveva mostrato importanti segnali di interesse verso il tema avviando attività di formazione per il personale Asl e dei Piani di Zona e sostenendo la sperimentazione di due Centri di sostegno alla progettazione di percorsi di vita indipendente, a Brescia e Milano.
I primi tagli, le prime rinunce
In questi primi mesi del 2012 sono molti i Comuni, gli Uffici di Piano e le Aziende sociali che hanno iniziato a fare i conti e a mettere nero su bianco le conseguenze dell'azzeramento del Fondo per la Non Autosufficienza e della contrazione del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, oltre che del Fondo Sociale Regionale. Le prime vittime, quasi naturali, di questi tagli sembrano essere le leggi di settore i cui finanziamenti sono poi confluiti nel Fondo Nazionale. Tra queste quindi anche i fondi previsti dalla Legge 162/98.
I tagli, secondo le prime testimonianze dirette, stanno colpendo in generale i servizi a domanda individuale e quindi, oltre i progetti Legge162/98, anche i servizi di assistenza domiciliare ed i contributi di carattere economico.
Paradossalmente sono colpite proprio quelle iniziative di carattere sociale che si basano sulla famosa domanda su cui, secondo il mandato regionale, in un prossimo futuro si dovrebbero spostare le risorse pubbliche che oggi alimentano invece l'offerta.
D'altra parte Regione Lombardia immette risorse sulle sperimentazioni per la domiciliarità, limitandosi, almeno in questa prima fase, a modificare le modalità di accesso e di valutazione del bisogno alla sola ADI, e quindi agli interventi di carattere sociosanitario, con un prevedibile modesto impatto sulla qualità della vita delle persone con disabilità.
Dalla rilevazione di LombardiaSociale.it degli ultimi mesi si confermano i tagli ai progetti ex Legge 162/98 e su tutta l'area della domiciliarità rivolta ad anziani e persone con disabilità. Tra le scelte più diffuse vi sono infatti la sospensione dei bandi o la riduzione dei finanziamenti ex Legge 162/98, la sospensione dei buoni e dei voucher, il congelamento delle rette e la sospensione dei nuovi ingressi, con il conseguente blocco del turn over dell'utenza anche in presenza di posti scoperti. Scelte che producono peraltro anche una diffusa e crescente sofferenza economica negli enti gestori che ad oggi non riescono a cogliere eventuali possibilità di ri-organizzazione interna (la flessibilità indicata dalla riforma ADI per esempio o le sperimentazioni possibili ...), perché concentrati nella gestione della propria sopravvivenza.
Gli enti gestori di servizi strutturati (CDD, CSE, RSD) hanno per ora quasi ovunque visto confermato il budget dello scorso anno (pari al 98% di quello del 2010), ma dalle interlocuzioni avute con diverse ASL non si ha alcuna assicurazione per il 2013, per il quale anzi si teme una possibile contrazione della quota sanitaria. Le difficoltà dei Comuni stanno già portando in alcuni contesti ad una riduzione della quota sociale a loro carico e se il fattore famiglia o la riforma dell'Isee nazionale non interverranno in questo senso, la cosa più probabile è che questa situazione si riverserà direttamente sulle famiglie, con la richiesta di una contribuzione diretta nel pagamento della retta.
Le ricadute sui singoli, intesi come famiglie e persone, sono dunque molto preoccupanti: le persone con disabilità rischiano di restare senza il supporto economico progettuale della Legge 162/98 e con meno servizi a disposizione sempre più onerosi.
Cosa faranno queste persone?
E' abbastanza probabile che una parte significativa, almeno nell'immediato futuro, farà fronte con risorse proprie, chi di carattere economico chi di carattere familiare.
Chi non avrà la disponibilità di queste risorse tornerà comunque a bussare alla porte dei servizi sociali comunali con la paradossale possibilità che gli venga offerto come alternativa un ricovero in Rsd/Rsa che prevede, oltre ad un deciso peggioramento della qualità della vita, anche un maggiore costo per la collettività tutta. Una prospettiva che riguarda, nel medio e lungo periodo, tutte le persone con disabilità oggi dipendenti da risorse familiari per potersi garantire l'assistenza personale.
Ciò che colpisce in tutto questo è l'inerzia istituzionale per cui, a fronte di tagli statali decisi ormai da più di due anni e i cui effetti erano largamente prevedibili, non si sia trovato altro rimedio che la riduzione di servizi ormai consolidati e determinanti per la vita di molte persone con disabilità.
Lo Stato taglia, la Regione trasferisce le risorse tagliate (aggiungendo tagli ai tagli) ed i Comuni tagliano i servizi. Il tutto non solo senza alcuna considerazione apparente sugli effetti nella vita delle persone, ma anche senza considerare gli effetti sulla tenuta complessiva del sistema di assistenza sociale.
Gli squilibri ormai strutturali del modello di welfare lombardo (più sanitario che sociosanitario e più sociosanitario che socio assistenziale) risultano ulteriormente rafforzate dopo queste scelte.
Quali le vie di uscita a questa situazione?
La Regione Lombardia ha annunciato l'intenzione di promuovere una legge di riforma complessiva del welfare che ponga al centro le richieste e le esigenze delle persone, favorisca l'integrazione dei servizi e delle risorse, rafforzi i ruoli dei Comuni, dei territori e l'iniziativa dei cittadini e delle loro organizzazioni.
In attesa che questo cammino si compia e affinché sia credibile, è necessario che il sistema di welfare che si intende riformare possa continuare ad esistere nella sua globalità e complessità.
L'emergenza che ci troviamo di fronte è dovuta, prima di tutto, ad una carenza di risorse pubbliche anche se le sua cause sono ben più profonde e strutturali.
E' necessario quindi che si identificano in tempi brevi, prima cioè che i Comuni realizzino il loro programma di tagli, risorse per tornare al livello dei finanziamenti 2011.
Per raggiungere questo obiettivo, oltre alla strada maestra del reintegro dei fondi, la Regione potrebbe anche decidere di incrementare la quota sanitaria delle unità di offerta sociosanitaria, liberando così risorse importanti, oggi impegnate, dei bilanci comunali, a supporto delle attività più prettamente sociali e territoriali.
Per il futuro: l'impostazione di un sistema di welfare che privilegi realmente la componente sociale rispetto a quella sociosanitaria, la domiciliarietà rispetto all'istituzionalizzazione, la vita autonoma e indipendente rispetto ai servizi di protezione, a conferma prima di tutto di un maggior riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone con disabilità oltre che di benefici per la società nel suo insieme.
[1] Legge 21 maggio 1998 n.162 art.1, comma 1, lettera c, prevede delle modifiche alla Legge 5 febbraio 1992, n. 104, concernenti misure di sostegno in favore di persone con handicap grave.
[2] Seppure con una modesta attribuzione di risorse (al massimo 10.000 € annui per progetto)
Articolo già pubblicato su LombardiaSociale.it