Le avventure di Mr Noir - Caccia alla Cacciatrice
Secondo avvincente episodio del primo eroe/detective con disabilità della letteratura italiana, creato dallo scrittore Sergio Rilletti. L'appuntamento è ogni venerdì su Personecondisabilità.it
Prologo
Il giudice Mario Anioni scendeva la scalinata del Palazzo di Giustizia, senza accorgersi che era sotto tiro. La croce del mirino di Serena Bonita era puntato sulla sua fronte.
Distesa sul tetto di un edificio, distolse un attimo lo sguardo dal mirino, per gustarsi quel momento: aveva avvicinato i figli del giudice, i suoi collaboratori; si era fatta passare per chi non era, studiando la parte per molto tempo. E ora, mentre teneva sotto tiro l'uomo, sapeva di avere già vinto.
-- Ferma lì! - le intimò una donna alle sue spalle; una voce che conosceva molto bene, e che aveva imitato tante volte. Si voltò, mentre la ragazza in jeans e maglione rosso con la scollatura a V, armata di pistola impugnata a due mani, si stava avvicinando; Serena, in jeans e maglione nero a girocollo, si girò sul fianco, fissandola negli occhi: sembravano due gocce d'acqua, due gemelle.
Elena Fox, detective privata e assistente di Mister Noir, si fermò a pochi centimetri da lei, tenendole la pistola puntata addosso.
-- Piacere di conoscerti - disse Serena, con un sorriso cattivo. La sua gamba saettò, colpendo Elena appena sopra il calcagno e facendola ruzzolare a terra, supina; Elena perse la pistola, Serena imbracciò il fucile, ma Elena le sferrò un doppio-calcio in faccia che la fece crollare all'indietro.
Con un colpo di reni, la detective balzò in piedi; Serena rotolò, e si mise in piedi pure lei; si misero in posizione di combattimento. Erano identiche: viso, capelli, e fisionomia. Solo il colore del maglione le rendeva riconoscibili l'una dall'altra.
Serena attaccò, e le due ragazze iniziarono a scambiarsi calci e pugni, parandoli e schivandoli a vicenda. Si presero per i cappelli e rotolarono per terra, scomparendo alla vista di chi era in strada.
Il commissario Cordieri, giù in strada, aveva visto tutto, e, ordinato a due suoi uomini di seguirlo, si precipitò verso il tetto di quel palazzo.
Arrivarono sul tetto mentre Elena, a cavalcioni sull'avversaria, stava stordendo Serena con un destro.
-- Ferma Elena - gridò Cordieri. - La prendiamo noi! -
La detective si alzò, paonazza in volto, ravviandosi i lunghi capelli castani. Il commissario le si avvicinò, mentre i due agenti ammanettavano la killer. - Tutto bene? -
Lei annuì.
-- Allora andiamo. Il tuo capo sarà in pensiero. -
Mister Noir era sul suo furgone nero, la carrozzina elettrica ancorata al posto guida, pronto a intervenire.
Elena salì accanto a lui. Chiuse la portiera, e, sbuffando, gli sorrise. Lui la guardò di sottecchi, e disse: -- Accaldata? -.
Nel pomeriggio, mentre Mister Noir aveva concesso a Elena mezza giornata di riposo, la casa del detective fu invasa da una squadra di tecnici della polizia che stavano togliendo tutte le cimici che Serena Bonita aveva messo nell'appartamento.
Intrufolatasi tre mesi prima nei panni di un'evasiva venditrice di libri, eludendo persino la sorveglianza di Consuelo Gomez - la governante tuttofare del detective -, che riusciva solo ad arrancarle dietro, la killer si era fiondata per un attimo in tutte le stanze alla ricerca del proprietario, fino a raggiungere lo studio del detective privato e a proporgli l'intera collana dei romanzi di Jeffery Deaver.
Dopo un po' che la presunta venditrice si ostinava a ignorare i suoi continui dinieghi, Mister Noir si spazientì. Azionò la carrozzina elettrica e, pilotandola con la destra, si avvicinò alla donna, l'agguantò per una spalla, e l'accompagnò alla porta d'ingresso. Il resto lo fece Consuelo, che, con molta soddisfazione, la sbatté fuori.
Serena Bonita, però, era riuscita nel suo intento: grazie alla parlantina veloce da venditrice ambulante era riuscita a confondere le idee e a piazzare le cimici nelle varie stanze in cui era entrata, Così, Serena Bonita, aveva cominciato a seguire le indagini dei due detective, anticipando le loro mosse; finché, un bel giorno, Mister Noir ed Elena Fox se ne accorsero e cominciarono a sfruttare la situazione a loro vantaggio, elaborando, assieme alla polizia, la trappola che aveva portato alla sua cattura.
1. L'uomo scomparso
Il mattino dopo, nello studio di Mister Noir, Consuelo Gomez, con le mani sui fianchi, sporta in avanti, scrutò il viso di Elena Fox. -- E' sicura di stare bene? -
-- Sì, sì. Sono solo un po' stanca per ieri - rispose, mettendosi le mani sulle reni e stirandosi la schiena.
Consuelo si raddrizzò. - Lei si fa sfruttare troppo, però, seňorita. Dovrebbe farsi pagare di più. Qualche mese fa è stata anche eletta Miss Detective: altro che farsi pagare di più! -
Mister Noir, fulminandola con lo sguardo, le ordinò il caffè.
La governante uscì mentre Elena, in piedi alla destra di Mr. Noir, si mordeva il labbro inferiore per non ridere.
L'investigatore si era rabbuiato: sapeva di dover dire qualcosa, ma non sapeva cosa.
Il suono del campanello lo salvò.
Sentì Consuelo andare ad aprire la porta.
-- Cerco Mister Noir - disse una voce maschile.
-- Prego, prego, l'accompagno. Oggi è un po' nervoso, ma non si preoccupi: aspetterò a dargli il caffè. -
Appena si affacciò alla porta dello studio, la governante scomparve subito, incendiata dallo sguardo del suo capo.
Elena, solare come sempre, disse: -- Prego, si accomodi --.
L'uomo, un quarantenne castano dalle spalle larghe ma abbastanza goffo nei movimenti, si avvicinò e, con un sorriso incerto, guardando entrambi ma soprattutto Elena, disse: -- Chi è Mister Noir? -
L'investigatore lo fissò. - Secondo Lei? -
L'uomo parve imbarazzato. - E' Lei - azzardò, indicando il detective.
-- Bravo, come ha fatto a indovinare? -
-- Dal colore dell'abito. Giusto? - rispose l'uomo, sorridendo.
-- No, sbagliato. Questo è un abito nero, non noir. E' un abito italiano, non francese. -
Il sorriso dell'uomo si smorzò di colpo. Elena, inarcando le sopracciglia in un gesto di indulgente solidarietà con l'ospite, lo fece accomodare sulla sedia.
-- E' scomparso un mio amico - disse, facendo saettare ripetutamente gli occhi da lui a lei.
L'investigatore si sporse in avanti, inarcò le sopracciglia, e con calma forzata disse: - Chi? -.
L'uomo si ridestò. - Eh? Ah, sì. Il mio amico si chiama Guido, Guido Stagni. - Si fermò, guardando prima lui poi lei.
Mister Noir gli sorrise, serafico. -- Niente foto, vero? -
-- Del mio amico, intende? -
Il detective, sempre serafico, annuì.
-- No - rispose l'uomo.
-- Ecco! - esclamò l'investigatore, come se avesse fatto una domanda pleonastica. Poi si ributtò indietro, appoggiandosi allo schienale della carrozzina. - Parli! --
-- Non so cosa dire. -
Mezz'ora dopo, al termine di un estenuante interrogatorio, Mister Noir ed Elena Fox erano sull'auto di lei, in direzione di una cascina di Castelletto Ticino, dove risiedeva Guido Stagni, il presunto scomparso.
Augusto Russo, il loro "impacciato" cliente, e Guido Stagni erano amici dall'infanzia. Non si erano mai persi di vista, nonostante avessero scelto due strade (e relative città) diverse.
La sera prima, Augusto Russo aveva telefonato all'amico per incontrarsi, ma sua moglie Anna gli aveva risposto che se n'era andato quella mattina e che non era più tornato; ma non era andata dalla polizia, non gli aveva spiegato il perché.
Arrivarono. L'auto frenò sfrigolando nel piazzale ghiaioso della cascina. Elena scese. Due bambini, uno bruno e l'altro biondo, che stavano giocando sotto il portico, la raggiunsero correndo.
-- Ciao -- disse Elena chinandosi in avanti. - Voi conoscete la signora Stagni? -
Il bambino bruno annuì.
-- Potete dirle che ci sono due amici di Augusto che vorrebbero parlarle? -
I bambini scattarono verso la porta di casa, dove comparve una donna sulla quarantina, procace e con i capelli neri raccolti. Scambiò qualche battuta con i bambini; i due investigatori si pararono davanti a lei.
-- Siamo Mister Noir ed Elena Fox. -
-- Chi??? -
-- Detective privati - si affrettò a dire Elena. - Ci manda Augusto Russo. --
Non era possibile che li avesse mandati Augusto, non si sentivano più ormai, ma la vista della ragazza la rassicurò. Congedò i due bambini, e fece accomodare gli ospiti.
Il salone, enorme, sembrava occupare l'intero piano terra, ed era suddiviso in più ambienti, tutti senza porte, delimitati da archi e dall'arredamento rustico.
Si sedettero ad un grande tavolo rotondo di legno: Elena alla destra di Mister Noir, la signora Stagni di fronte. La donna era agitata, continuava a stropicciare il fazzoletto bianco che teneva tra le mani e a passare lo sguardo dal fazzoletto ai due ospiti. - Io non saccio dove sta mio marito. -
Il detective inarcò le sopracciglia. - Sì. Questo l'avevamo capito. -
La donna li guardò fiduciosa ma perplessa.
-- E' successo qualcosa in particolare in questi giorni? - chiese Elena.
-- Solo tre telefonate che lo spaventarono, ma io non saccio il pirchì. -
Tre telefonate! cominciò a meditare l'investigatore. Proprio com'era accaduto a Stefano Giuffrida!
Proprio come nello stile di Serena Bonita!
La donna dedicava solo dei fugaci sguardi ai due detective, concentrandosi soprattutto sul fazzoletto che stava stropicciando. Ma fu proprio nei suoi rapidi sguardi che il detective intuì che stava mentendo.
I due investigatori si guardarono negli occhi.
-- Non può dirci altro, signora? - chiese Elena con voce carezzevole.
La donna annuì enfaticamente, e posò lo sguardo su di loro. - L'ultima telefonata l'ho sentita, abbiamo tre telefoni. Ha detto "Ciao,... -- Si fermò un momento, incerta se continuare. - "Ciao, caro; non ti ho dimenticato. Sto arrivando." -
Quelle parole non gli erano nuove, e si convinse definitivamente che dietro a quelle minacce c'era Serena Bonita. Avrebbe voluto dirle "Signora, non si preoccupi: non è un'amante, è una killer"; avrebbe voluto anche dirle che la killer in questione ormai era in prigione, ma tacque.
Invece, Elena Fox domandò: -- Ha idea di chi fosse? -.
La donna negò con troppa enfasi, e Mister Noir non ebbe più dubbi: stava mentendo!
-- Può darci una foto di suo marito? Ci aiuterebbe nelle ricerche. -
-- Sì, certo - disse, indirizzando un altro sguardo agli investigatori. Si alzò e sparì.
Lo sguardo della donna penetrò nella mente di Mister Noir, e guardò Elena. Non sapeva bene dove l'avesse vista, probabilmente in fotografia, ma il volto della signora Stagni non gli era nuovo.
La donna tornò e porse loro una foto, che prese Elena.
Mister Noir osservò la donna con viva curiosità, alzando le sopracciglia, per invitarla a parlare: la signora Stagni aveva ancora qualcosa da dire, ne era sicuro, ma la donna chiuse gli occhi e tacque.
Allora il detective incalzò: - Ha trovato, nella spazzatura, tre rose nere, vero? -.
La donna, sempre a occhi chiusi, annuì.
2. Oscuri salvatori
Il momento era arrivato. La killer non aveva confessato, e ora sarebbe stata trasferita al carcere di San Vittore; come da programma; come era stato annunciato da quel nugolo di programmi televisivi che si erano avvicendati sull'arresto di Serena Bonita, l'inafferrabile super-killer che da anni si vendeva al miglior offerente infestando le strade d'Italia.
In meno di ventiquattr'ore tutti sapevano tutto di Serena Bonita, delle sue tecniche e di come aveva sempre eluso la polizia e le forze dell'ordine.
Ma ora basta! L'incubo era finito!
L'orario di trasferimento di Serena Bonita non era filtrato, ma il Commissariato era sotto assedio: fuori dal portone, un nugolo di giornalisti, armati di macchine fotografiche cineprese e microfoni, bloccavano l'accesso. Era impossibile arrivare al cellulare che avrebbe trasportato la killer senza passare attraverso quella muraglia.
Il commissario Cordieri era alla testa della scorta. Seguiva Serena Bonita, con le mani ammanettate dietro la schiena, sospinta da due agenti che la tenevano per le braccia, e a seguire altri due agenti che chiudevano la fila. In tutto cinque poliziotti. Più altri due, nell'abitacolo del cellulare, protetti dalla rete metallica.
I poliziotti fendettero la barriera umana, surclassando domande microfoni e cineprese. Salirono con la killer sul cellulare, chiusero il portellone posteriore, e partirono. Il commissario Cordieri, di fronte a lei, stava sorridendo; ma lo sguardo di Serena era torvo.
Si allontanarono dal distretto lentamente; compirono due rettilinei e due curve prima di fermarsi ad un semaforo rosso, in prossimità di un incrocio.
Cordieri, con la sua chierica di capelli castani tagliati corti, sorrise ancora di più. Finalmente Serena Bonita, che durante l'interrogatorio aveva persino tentato di farsi passare per Elena Fox, sarebbe finita in prigione!
Il semaforo diventò verde, e il veicolo ripartì.
Era in mezzo all'incrocio quando un furgone piombò da sinistra centrandolo sul cofano: il cellulare sbandò, andando a sbattere di lato contro un'auto parcheggiata.
Ne seguì una serie di stridenti frenate, testacoda, e tamponamenti a catena.
Il furgone si fermò quasi a lato del cellulare; il portellone destro si spalancò, ed eruttò fuori un commando di cinque uomini col viso coperto da calze di nylon, armati di mitra. Due di loro iniziarono a sparare all'impazzata contro la fiancata del cellulare, costringendo Serena e i poliziotti a gettarsi a terra, mentre gli altri tre si dedicarono al portellone posteriore, facendo saltare le serrature con una raffica di proiettili.
Uno di loro entrò, afferrò la donna per un braccio, e la strattonò fuori.
I cinque uomini e la donna risalirono sul furgone, che ripartì con uno stridio di gomme.
3. La Leggenda del Male
Alla guida della sua auto, Elena Fox lanciò uno sguardo interrogativo a Mister Noir. - Che c'è? - disse, con il suo distintivo tono solare che l'accompagnava sempre.
-- Stavo pensando a Serene Bonita. C'è lei dietro a tutto questo. -
-- Già. Serena Bonita. -- Elena rise. -- Che nome assurdo per una killer!... Scommetto che nemmeno al tuo biografo, per quanto scriva racconti assurdi, verrebbe mai in mente di appioppare un nome del genere ad una killer! -
-- Io non ci scommetterei! -
-- Comunque, per fortuna, ora è in prigione. --
Il cellulare di Mister Noir cominciò a lampeggiare sul supporto attaccato al cruscotto. Elena premette il vivavoce. - Sì? -
-- Mr. Noir, Elena, mi sentite? - Era Cordieri, ed era agitato. - Serena Bonita è fuggita! -
-- Che rima! - esclamò il detective.
-- Come? -
-- E Lei, come sta? - intervenne premurosa Elena Fox.
-- Io sto bene, grazie. Stavamo trasportando Serena Bonita col cellulare, ci è piombato addosso un furgone, e un commando l'ha portata via. Ho già avvertito il giudice Anioni. --
Ok! Ora basta! Se Serena Bonita ce l'aveva con Guido Stagni bisognava agire in fretta!
Ad un cenno di Mr. Noir, Elena aggiunse: -- Ha fatto bene, ma pensiamo che altre persone siano in pericolo. Ora veniamo in commissariato e le spieghiamo -.
Mister Noir non lo sapeva, ma, per venire a capo di quella faccenda, avrebbe dovuto usare tutto il suo intuito.
Seduta sull'asse del furgone, in compagnia dei cinque uomini che l'avevano liberata, Serena aveva uno sguardo ancora più fosco. Non c'erano finestrini, e il vetro oscurato che separava l'abitacolo impediva di vedere comunque all'esterno.
- Dove stiamo andando? - chiese con tono cupo.
-- Niente domande. Quando arriveremo, lo saprai. -
La gratitudine non era una dote che apparteneva a Serena, e se avesse avuto le braccia libere li avrebbe stesi tutti, e si sarebbe buttata giù dal furgone in corsa, fuggendo.
Nel suo ufficio, seduto alla scrivania, con i gomiti appoggiati al tavolo e la testa sulle mani unite a dita incrociate, il commissario Cordieri ascoltava con attenzione i due investigatori privati e la teoria per cui la killer sarebbe stata l'artefice delle presunte telefonate minatorie a Guido Stagni, provocandone la fuga.
Erano presenti anche un agente e il giudice Anioni.
Cordieri si gettò all'indietro, appoggiandosi allo schienale della poltrona. - Serena Bonita sarebbe interessata a eliminare questo Guido Stagni? Ma se fino a ieri era impegnata a dare la caccia al giudice, perché ora sarebbe interessata a perseguitare un pover'uomo rintanato in una cascina a Castelletto Ticino? -
-- Questo bisognerebbe chiederlo a lei! - esclamò serafico Mister Noir.
Il commissario sbiancò. Se Mr. Noir aveva ragione, ora la killer stava andando verso la cascina!
-- No, non sta andando lì -- disse il detective, leggendogli nel pensiero. - Ci sono delle regole da rispettare. Serena Bonita, detta La Cacciatrice, avverte tre volte le proprie vittime: la prima è per atterrire, la seconda è per confermare, la terza è per iniziare. Solo dopo la terza telefonata, la vittima predestinata può, e deve, fuggire di casa tentando di raggiungere la polizia, senza mai toccare un telefono, tornare a casa, o oltrepassare i confini cittadini. Se non si rispetta anche solo una di queste regole, la vittima viene eliminata all'istante. Ovviamente nessuna preda di Serena Bonita è mai riuscita a cavarsela, tranne... -- Si fermo in sospeso, per vedere se Cordieri era preparato.
-- ...Tranne quando voi due avete seguito il caso Giuffrida! - concluse il commissario. -- Comunque, ora la nostra priorità è proteggere il giudice. Non c'è alcun motivo per pensare che non ci riprovi. Non dimentichiamo che Bonita è la Leggenda del Male. Il tuo stesso resoconto lo conferma -
-- Sì, una Leggenda con le sue regole. Lei dà la caccia alle sue vittime solo quando ha contratti in piccole città, dove può tenere tutto sotto controllo; ma se ha un lavoro da svolgere in una grande metropoli, non perde tempo in telefonate minatorie e cacce: uccide e basta, lasciando tre rose nere come firma. -
-- E le minacce al giudice Anioni, come le spieghi? -
-- Le lascio spiegare a voi; dovrete pur guadagnarvi lo stipendio, in qualche modo! - Sorrise. - Comunque, sicuramente Bonita lavorava per conto proprio, non su commissione: non avrebbe mai rischiato di mandare all'aria il contratto mettendo il giudice all'erta, minacciandolo. --
4. Talis patre, talis fìgghiu
La seggiola su cui era seduta non era male, e nemmeno il poster vista mare al di là della scrivania che aveva davanti, ma i due gorilla che aveva alle spalle e i polsi ancora ammanettati dietro la schiena non li sopportava proprio.
Serena sbuffò roteando gli occhi da una parte all'altra, quando sentì dei passi echeggiare fuori dalla stanza. I passi si fermarono; la porta, alle sue spalle a destra, si aprì, ma Serena continuò a guardare davanti a sé, non degnando l'uomo che era entrato finché non le fu di fronte.
L'uomo, alto e robusto, si sedette, fregandosi lentamente i palmi delle mani. - Lei non conosce me, ma io conosco Lei. Mi chiamo Beppe Puglisi. Lei lavorò per mio patre, sa? -
Lei sorrise, civettuola. - Un brav'uomo, immagino. -
-- Sissi. Con gli altri era tanticchia severo, ma era bonio con me. Dico era pirchì ora è in prigione. Per colpa sua. --
Sentendo quei cognomi, Pugliesi e Giuffrida, la mente della killer andò subito a Misterbianco al "contratto" Stefano Giuffrida: un contratto che non aveva adempiuto.
-- Ma ora Vossia può rimediare. Uccidendo un omo. -
-- Chi? - Lo sguardo di Serena era impenetrabile.
Il boss fece scorrere una foto sul tavolo. Era un uomo alto e castano, sulla quarantina, dalle spalle larghe ma senza il portamento dello sportivo. La foto lo ritraeva di tre quarti, in un locale affollato. Era serio.
-- Si chiama Alfredo Musso. Ci deve una milionata, e si ostina a non onorare i suoi debiti. Lo può trovare al Gatto e la Volpe. Tutte le sire va là. Per ora, è nostra ospite. Agirà stanotte. Poi sarà libera. -
La donna osservò ancora la foto. Lei non poteva saperlo, ma proprio quella mattina, quell'uomo, si era presentato a Mister Noir sotto falso nome.
5. Trasferte incrociate
Accantonando per un attimo il giudice Anioni, che peraltro avevano aiutato negli ultimi due mesi, e ignorando che il loro cliente si era presentato con un nome falso, i due investigatori sfrecciavano di nuovo verso la cascina.
La domanda che aveva posto Cordieri era pertinente: "Ma se fino a ieri era impegnata a dare la caccia al giudice, perché ora [Serena Bonita] sarebbe interessata a perseguitare un pover'uomo rintanato in una cascina a Castelletto Ticino?"
Mr. Noir ed Elena decisero di percorrere l'unica strada a loro disposizione: quella che congiungeva Milano a Castelletto Ticino. Se la killer aveva studiato le mosse di Guido Stagni prima di agire, ora loro dovevano fare altrettanto se volevano salvarlo!
L'auto frenò sfrigolando nel piazzale ghiaioso.
Nel cortile non c'era nessuno.
Elena scese, andò alla porta della famiglia Stagni e bussò due volte, ma nessuno rispose. Provò anche ad aprire la porta, ma niente.
Tornò indietro allargando le braccia. -- E adesso che si fa? -
-- Si va a bussare alla porta della dirimpettaia, che fa rima con portinaia, e si chiedono a lei notizie sugli Stagni. -
-- Aspetta. Prima di tirarti giù guardo se c'è. -
Elena bussò alla porta di fronte a quella degli Stagni. Una donna bruna e grossa uscì, ed Elena cominciò a parlare con lei.
-- VOCE! - tuonò dall'auto Mister Noir.
Elena si voltò, abbozzò un sorriso tirato, e chiese alla donna di seguirla; una volta accanto all'auto, esclamò: -- Lui è Mister Noir, il mio capo --.
Il donnone scosse la testa strabuzzando gli occhi. - Qual è il nome??? -
-- Mister, che domande! - esclamò il detective.
Elena, conciliante come sempre, riportò l'attenzione della donna sull'argomento della loro visita. - Non ha proprio idea di dove siano andati i signori Stagni? -
-- No. Anzi, sì. Oggi è mercoledì, e al mercoledì sera vanno al cinema con i coniugi Cigni. Laura e Roberto Cigni. -
-- I Cigni sono amici degli Stagni? -
Il donnone, che evidentemente si sentiva un po' presa in giro, rispose con un gelido - Sì, certo --.
Mister Noir incalzò. - Al mercoledì sera, ha detto? Perché, hanno degli altri impegni fissi durante la settimana? -
-- Sì, al giovedì sera. Vanno al Circolo a giocare a carte. Lui con gli uomini, lei con le donne. --
Elena, col suo tono dolce di sempre, disse: -- Senta, signora, gli altri giocatori di carte, chi sono? --.
-- Federico Bruglia, Renato Alpi, e lo stesso Roberto Cigni. Serve altro? -
-- Sì. Ci può dare i loro indirizzi? Ci sarebbero molto utili. E pure quello del Circolo - chiese il detective.
Il donnone, che dopo la risposta iniziale che le aveva dato non lo prendeva più sul serio, lo squadrò, poi guardò Elena per chiederle conferma. Lei, con un sorriso, assentì.
Nel frattempo, rinchiusa in una stanza quasi disadorna, Serena si guardò intorno. Era in una camera lunga e stretta, con un letto e un'unica finestra "protetta" da un'inferriata, che le bloccava l'unica via di fuga, e la donna studiava un piano per uscire da quella situazione.
Non si era mai piegata ai ricatti, e non avrebbe cominciato certo ora!
Durante il viaggio di ritorno, Mr. Noir non aveva aperto bocca. Non gli andava di dover aspettare fino a domani per contattare gli Stagni. Comunque loro, quella sera, sarebbero stati rintanati in un cinema e quindi era impossibile scovarli, anche per la killer; ma lui era un uomo d'azione, e quindi non poteva stare fermo. Non poteva proprio.
Appena giunti a casa, Mr. Noir si rivolse a Elena. -- Chiama subito il volpone del nostro cliente, e digli che dobbiamo parlargli -.
-- Come sei serio ora; a momenti non ti riconosco! - esclamò lei, cavandosi di tasca il foglietto col numero di cellulare di Augusto Russo.
-- Io sono il cacciatore della Cacciatrice, l'antitesi della killer: lei è Serena, io no! -
-- Ecco. Ora sono sicura che sei proprio tu! -
Compose il numero, ascoltò per qualche secondo, poi increspò le labbra e avvicinò il telefono all'orecchio di Mr. Noir. Una voce femminile, calma e compassata, diceva "...Il numero da Lei composto è inesistente".
-- Ottimo! -- disse. Con Serena Bonita a piede libero e un cliente del genere erano proprio messi bene!
Cominciò a pensare dove si sarebbe potuta nascondere la killer. Mise alla prova la sua assistente.
Elena sbuffò: immedesimarsi nella sua sosia cattiva non le piaceva neanche un po', però poi cominciò. - Dunque: io sono una killer professionista, maga dei travestimenti, e ho bisogno per un po' di tempo un luogo sicuro e insospettabile. Dove vado? In un albergo. -
-- No. In un posto più intimo! -
-- Una camera da letto? -
-- Quasi. Un "Bed & Breakfast". Discreto, tranquillo, sicuro!... Continua, e impegnati di più: puoi fare molto meglio!... Quali caratteristiche deve avere? -
-- Devo uccidere un giudice, -- rispose Elena, continuando a immedesimarsi nella killer, -- quindi ho bisogno di privacy e di facilità di movimento coi mezzi pubblici; devo abitare abbastanza vicino al mio obiettivo, ovverosia il Palazzo di Giustizia, ma non troppo, e devo avere una camera singola -
-- Ottimo!... E ora cerchiamo su Internet un B&B che abbia queste caratteristiche! -
Serena Bonita era come un animale in gabbia, e, come tutti gli animali predatori che non si possono sfamare, stava diventando feroce.
Ritornò con la memoria al passato.
Vito Puglisi era un boss malavitoso che viveva a Misterbianco, una località agricola in provincia di Catania, a capo di un traffico d'armi che mascherava con il commercio di grano.
Avrebbe continuato così, nei suoi illeciti affari, se una sera un certo assicuratore di nome Stefano Giuffrida non avesse visto Puglisi uccidere un uomo nella sua stessa villa dopo una conversazione compromettente.
Il boss se n'era accorto e aveva contattato Bonita per eliminarlo.
Lei si era documentata sulla vita dell'uomo; dopodiché, aveva dato il via alla caccia.
Ma l'uomo, anziché andare direttamente alla polizia, che gli avrebbe procurato morte istantanea, o tentare di rifugiarsi in luoghi da lui considerati "sicuri", si fiondò nel primo portone aperto, trovando rifugio, aiuto, e salvezza.
Stefano Giuffrida testimoniò, e Vito Puglisi fu condannato.
Puglisi, però, aveva un figlio, Beppe, che controllava il traffico a Milano e procurava documenti falsi ai clandestini, che, non potendoli pagare, accettavano di effettuare certe consegne un po' "particolari" gratis.
La donna sorrise. C'era solo un uomo che riusciva a riprodurre documenti perfettamente falsi. E Serena lo conosceva bene!
Vito Puglisi era stato condannato per omicidio, ma niente di più. Beppe Puglisi, invece, era rimasto immacolato, come un bambino; e ora, come un bambino, pensava di poter giocare con Serena Bonita.
Ma sarebbe stata la donna a giocare con lui!
La ricerca dei due detective in Internet aveva dato i risultati sperati. C'erano molti bed & breakfast a Milano, molti di più di quanti Mister Noir pensasse; un po' cari, forse, dato che offrivano solo la colazione e un letto non commestibile per dormire, ma c'erano.
Tra i tanti, Mister Noir ne individuò uno, nel comune di Sesto San Giovanni, che sembrava proprio quello giusto: abitato da una famiglia con cui condividere il bagno, vicino alla metropolitana che in 15 minuti porta in centro, con camera singola abbastanza spaziosa con angolo di lavoro.
Elena aveva cercato di portare l'attenzione su Mr. Noir su altri possibili B&B, ma l'investigatore li aveva scartati tutti; compresi quelli, apparentemente più logici, che presupponevano la presenza di una persona sola, offrendo quindi la presenza di un solo potenziale testimone. Ma Serena Bonita, maestra dei travestimenti, si sarebbe presentata completamente diversa da com'era, e, stando a contatto con un'intera famiglia, avrebbe avuto più testimoni a descrivere una ragazza che non c'entrava niente con lei.
Ora, mentre stavano salendo in ascensore all'appartamento B&B, Mr. Noir notò che Elena guardava per aria e batteva il tallone del piede destro, impaziente.
Prima che il detective potesse aprire bocca, però, l'ascensore arrivò a destinazione e le porte si aprirono al sesto piano.
Restava solo un interrogativo. Cosa avrebbero detto per farsi aprire e, soprattutto, per carpire più informazioni possibili su Serena Bonita, che, all'insaputa dell'intera famiglia, probabilmente avevano ospitato?
Mr. Noir calcolò velocemente che, considerati gli avvenimenti legati al giudice Anioni, la killer doveva essere stata loro ospite almeno un mese.
Non avendo altri elementi decise di cominciare da lì. Era un po' complicato trovare una scusa plausibile, non sapendo neanche il nome con cui si era presentata, ma in qualche modo avrebbero fatto.
Elena suonò il campanello. Una signora alta, snella, e dai capelli grigi ben tenuti, aprì quasi subito la porta. - Sì? -
Elena rimase interdetta per un istante, quando un bambino biondo, di circa cinque anni, le corse incontro a braccia spalancate e sorridendo. - Sylvie! Ciao, Sylvie! -
¬Elena, colta di sorpresa, si chinò verso il bambino e, improvvisando un perfetto accento francese, disse: -- Io non sono Sylvie, mi dispiace!... Io sono Monique, sua sorella, e la sto cercando. Non è qui? Mi aveva detto che veniva qui. -
-- No, è andata via un paio di giorni fa. Peccato. Era così brava! - rispose candidamente la signora. - Ma lo sa che Lei le assomiglia proprio?... Prego, entrate! -
Elena spinse il detective dentro casa, mentre il bambino guardava esterrefatto Mister Noir e la sua carrozzina a mano con quelle ruote così grandi.
Alle 8 di sera, la porta della cella di Serena Bonita si aprì, e un energumeno dalla testa rasata le ordinò di seguirla.
La donna si alzò dal letto, e lo seguì.
L'energumeno la fece camminare davanti a sé, sospingendola verso i lunghi e ampi corridoi, bianchi e luminosi.
La donna si guardò intorno, memorizzando tutto.
L'uomo la fermò davanti ad una porta, che aprì facendola accomodare.
Serena entrò in un immenso salone arredato in stile vittoriano. Individuò subito il boss, che la stava aspettando seduto all'estremità di un lungo tavolo posto al centro della stanza. Lei si accomodò all'altro capotavola, dove era apparecchiato.
Il padrone di casa prese un campanello alla sua sinistra, e lo suonò. Un cameriere comparve e cominciò a servire.
-- Allora, signorina Bonita, il cognome che porta fa onore al suo aspetto. -
-- Muchos Gracias! - esclamò lei, sorridendo e inchinandosi leggermente.
-- Mi stavo chiedendo una cosa: Ma perché una professionista come lei, sempre attenta allo studio dei propri piani e a non lasciare tracce, si è fatta beccare così facilmente dalla polizia? -
-- Anch'io mi sono chiesta una cosa - disse la donna, fissandolo intensamente negli occhi. - Ma non gliela dico! - E ricominciò a mangiare.
Tornato a casa e congedata Elena, il detective, dopo cena, andò al computer, cercando di collegare i fatti del celebre "caso Giuffrida" con quello che stava succedendo in quel momento.
Adoperando una tradizionale tastiera munita di scudo, ovvero di una griglia leggermente sopraelevata che impedisce di premere più tasti contemporaneamente senza volerlo, entrò nella cartella Documenti, e aprì, nell'ordine: Articoli, Nera, e Bonita; ovvero la cartella dedicata alla killer, con gli articoli che la riguardavano, scannerizzati da vari quotidiani e riviste.
Si concentrò su una foto di due anni prima in cui il fotografo, infischiandosene della privacy e della sicurezza altrui, aveva ritratto la moglie di Stefano Giuffrida nell''atrio di un'aula del Palazzo di Giustizia di Catania.
"Il caso Giuffrida" l'avevano chiamato i giornalisti, dando maggior rilevanza al testimone-chiave che all'imputato in sé, facendo infuriare ancora di più quest'ultimo.
Il detective privato ingrandì il viso. La donna era ritratta di 3/4, ma non c'erano dubbi: la capigliatura era riccia, il volto più magro e spigoloso, ma gli occhi erano proprio gli stessi: quella donna, che la didascalia della foto presentava come Monica Giuffrida, moglie di Stefano Giuffrida, era la signora Stagni.
Mr. Noir, aiutato dagli articoli, riportò alla mente quel caso; un caso che aveva visto coinvolti lui, Elena Fox, e Serena Bonita.
FLASHBACK
Due anni prima. A luglio.
Mr. Noir si era concesso qualche giorno di vacanza, scegliendo un luogo lontano non solo da casa sua ma pure da se stesso.
Mister Noir capitò quindi a Misterbianco, curioso di vedere se era vero che due poli opposti si attraggono.
Era vero.
Ma non nel senso che sperava lui!
Una sera, quando era ospite della sua amica giornalista Giulia Desideri, piombò in casa un uomo, tutto trafelato e rosso in volto.
Era Stefano Giuffrida.
L'uomo cominciò a tartagliare, sostenendo affannosamente che aveva visto un omicidio e che ora una donna voleva ucciderlo; una donna che aveva telefonato tre volte e gli aveva lasciato altrettante rose nere.
Il marchio inconfondibile di Serena Bonita!
Mister Noir, che fino a pochi istanti prima s'illudeva di essere in vacanza, lo guardò male. -- E perché non è andato dalla polizia? -
-- Scherza??? Si tratta di Serena Bonita, non mi avrebbe mai fatto arrivare fin lì. --
Era vero. Serena Bonita era una leggenda, la Leggenda del Male, resa tale dai mass media. E chi aveva tentato di non farla divertire, non rispettando le sue regole, l'aveva eliminato all'istante.
-- Dobbiamo chiamare la polizia! - chiese l'uomo.
-- No. Prima risponda a qualche domanda: sono una giornalista. -
Mister Noir approvò. Se Giulia faceva le domande "giuste", domandando all'uomo delle sua vita privata, delle sue conoscenze, e delle sue abitudini, avrebbero potuto giocare d'anticipo: lei avrebbe avuto il suo scoop, e lui avrebbe potuto catturare la Cacciatrice. E, per far ciò, occorreva destabilizzare la sicurezza della killer. E cosa c'era di meglio di una detective privata, cugina affezionata della vittima, che arrivava per difendere il malcapitato parente e beccare la famigerata killer?
Niente, esatto!
Quindi, Mister Noir se la inventò: prima che Giulia cominciasse a formulare le domande, lui le chiese di prendergli il cellulare; lei glielo prese, lo posò sul tavolo, e lui, col pollice della mano destra, compose il numero di Elena Fox, interrompendola dalla sua meritata vacanza.
Approdata a Misterbianco, Elena, seguendo un piano di Mister Noir, sfidò apertamente Serena Bonita, la Leggenda del Male, nota per i suoi mirabili travestimenti, dichiarando, attraverso i canali televisivi, che i suoi trucchi erano stati scoperti, che ormai sapevano dove beccarla, e che sarebbe stata proprio lei a consegnarla alla polizia. Così almeno imparava a importunare la sua "famiglia" e a rovinarle le vacanze.
Le panzane di Elena sortirono l'effetto desiderato: la killer s'innervosì, accettò la sfida della detective, e si fece sempre più ardita.
Non potendo seguire, come era sua abitudine, la sua vittima, cambiando spesso travestimenti, Serena fu costretta a cambiare tattica.
Basandosi sulle informazioni che aveva appreso su Giuffrida, la Bonita cominciò ad attentare ai luoghi che Giuffrida di solito frequentava, con lo scopo di stanare la sua preda, ma la preda non si faceva stanare, e, ogni volta che la killer lasciava come firma la sua immancabile rosa nera, Elena compariva in tv e la sbeffeggiava, ringraziandola per aver sterminato un nugolo di zanzare e rivelandole il luogo "esatto" dove si era rifugiato quel giorno suo cugino. L'informazione ovviamente era falsa, ma, riferendosi ai reali "punti di riferimento" di Giuffrida, riduceva automaticamente i luoghi dove Bonita poteva andare a colpire, eliminando, in un colpo solo, due luoghi: quello preso di mira quel giorno dalla killer, e un altro, scelto dai due investigatori.
Nessuno poteva sapere dove Giuffrida si era nascosto, e nemmeno la polizia poteva dedurlo, dato che si era tuffato nel primo portone che gli era capitato.
I due investigatori e la giornalista continuarono così, a registrare i messaggi di Elena su vhs e a inviarle alle varie tv, che regolarmente le mettevano in onda, diminuendo sempre più il numero dei possibili bersagli rimasti.
Serena Bonita perse ogni sua sicurezza e spavalderia, si sentiva braccata da tutti: per lei ogni volto poteva essere quello di un poliziotto o di un uomo di Puglisi.
Così, fece una cosa che non avrebbe mai pensato di fare: si dileguò, senza lasciare alcuna traccia, ma lasciando per la prima volta un lavoro incompiuto.
Stefano Giuffrida aveva testimoniato, Vito Puglisi era finito in prigione. Di Serena Bonita, invece, per due anni non si seppe più nulla.
FINE FLASHBACK
Mr. Noir si appoggiò allo schienale, completando il quadro con la sua immaginazione: Stefano Giuffrida era entrato nel programma Protezione Testimoni ed era stato trasferito a Castelletto Ticino, diventando Guido Stagni.
Serena Bonita, dopo due anni era tornata in Italia e aveva rintracciato Stefano Giuffrida, alias Guido Stagni, per ucciderlo. Non più per denaro, ma per puro "orgoglio professionale".
Ecco quindi la risposta al quesito di Cordieri: Serena Bonita aveva deciso di perseguitare Guido Stagni per vendetta!
E, per essere proprio sicura che si capisse che l'esecutore era proprio lei, seguì la solita prassi: minacciando tre volte Stagni e lasciandogli tre rose nere come firma.
L'investigatore cercò di ricostruire i movimenti della killer.
Serena si era installata nella famiglia B&B, che continueremo a chiamare così per tutelarne la privacy, per tre mesi. L'ultimo mese l'aveva utilizzato per minacciare il giudice e attentare alla sua vita, ma gli altri due a cosa le erano serviti?
Mister Noir rifletté. In effetti, la visita che gli aveva fatto Bonita sotto le sembianze di venditrice di libri risaliva circa a tre mesi prima. Ma allora perché aspettare tutto quel tempo per mettersi in azione contro il giudice Anioni, per poi farsi beccare?
Su cosa aveva lavorato in tutto quel tempo?
Nella loro visita di quel pomeriggio alla famiglia B&B, che si era trasformata in un gradevolissimo Thè delle 5, la signora aveva parlato della loro presunta Sylvie come di una ragazza gentile, "a modo"; stava molto tempo in camera, e quindi la signora, ogni tanto, si permetteva di invitarla nel salotto per offrirle un tè e chiacchierare un po'.
Serena Bonita aveva previsto questa eventualità, e si era inventata una storia: Sylvie era una ragazza parigina che era venuta a Milano per fare praticantato in uno studio legale; avrebbe lavorato come assistente di un avvocato, proprio come aveva fatto suo padre quand'era giovane.
La signora, commossa da quel discorso e incuriosita dalla giovane, le chiese come mai passasse così tanto tempo chiusa in camera, e lei le rispose che doveva ascoltare le registrazioni di alcuni processi e prendere appunti.
Il bambino, attratto da quella ragazza dolce e carina, un giorno aprì la porta della camera di uno spiraglio, e sbirciò: Sylvie era seduta alla piccola scrivania ottocentesca posta in un angolo della stanza, impegnata a ripetere qualcosa che stava ascoltando nelle cuffie.
Il bambino non seppe trattenersi, gridò - Sylvie --, e le corse incontro. Serena, che aveva una notevole prontezza di riflessi ed era un'ottima attrice, si tolse subito la cuffia e lo accolse con uno dei suoi splendidi sorrisi.
Una volta raggiunta, il bambino indicò le cuffie, e domandò: -- Musica? --.
-- No, sono persone che parlano. Una barba!... Vuoi sentire? -
-- Sì! - disse il bambino, accompagnando la risposta con un deciso gesto del capo.
Serena gli mise la cuffia, e l'espressione del bambino diventò molto accigliata, come se volesse impegnarsi a capire una cosa decisamente strana. (La stessa espressione, immaginò Mister Noir, che gli era venuta quando aveva sentito parlare l'investigatore per la prima volta.)
Subito dopo arrivò la signora, che sottrasse il bambino rimbrottandolo bonariamente.
Serena si rimise le cuffie, e, nelle simpatiche vesti di Sylvie, commentò: -- Eh! Hai proprio ragione a fare quella faccia strana: non si capisce niente! -
Questo era quanto il detective era riuscito a ricostruire dal racconto della signora B&B.
Ora doveva collegare questi fatti agli ultimi avvenimenti riguardanti il giudice Anioni e Antonio Russo, il suo "impacciato" cliente. Avrebbe dovuto ricontattarlo, ma il numero di cellulare che gli aveva dato risultava inesistente.
Cercò sul sito delle Pagine Bianche, sperando che avesse anche un telefono fisso; ma, manco a dirlo, non fu così.
Cominciò a pensare a quali tipi di locali potesse bazzicare. Ne passò in rassegna un po', fino a soffermarsi su uno in particolare; un locale che sembrava essere la fiocina degli esseri più diversificati di Milano, un porto di mare senz'acqua in cui si ritrovavano tutti gli uomini che si consideravano "di passaggio": Il Gatto e la Volpe.
Telefonò subito a Elena, per andare a controllare con lei, ma il suo cellulare era spento.
Nel frattempo, nel salone della villa di Beppe Puglisi, a cena conclusa il cameriere servì alla killer una valigetta nera. Lei l'aprì: conteneva una parrucca, un paio di lenti a contatto azzurre, e due pistole di grosso calibro.
La donna alzò lo sguardo su Puglisi e disse: -- E' proprio sicuro che non le costi più quest'equipaggiamento della milionata che non vuole più recuperare? -
L'uomo rise. -- Lei è molto spiritosa, Serena. Non credevo. - Poi, diventò subito serio. - L'accompagneranno quattro dei miei òmini, in macchina. Si fermeranno a cento metri dal locale dove Lei entrerà, ucciderà il quaquaraqua, e uscirà. Tornerà ca, i miei òmini mi confermeranno il lavoro svolto, e lei tornerà libera di volare come una colomba. Tutto chiaro? -
-- Sì. -
6. Il Gatto e la Volpe
Erano le 11 di sera, e la saletta principale de "Il Gatto e la Volpe", adibita a saloon, era popolata da una fiumana internazionale di gente. Uomini di tutti i Paesi, dagli sguardi fuggevoli e le parole smozzicate, sembrava che sussurrassero mille segreti guardandosi sempre intorno alla ricerca di qualche portatore di guai da cui fuggire.
Solo tre personaggi si distinguevano in quel marasma multietnico: il giovane proprietario che, al di là del bancone che attraversava "coast to coast" le due salette del locale, parlava al cellulare; un quarantenne castano un po' goffo che, seduto solo ad un tavolo, beveva un Cuba Libre; e un ragazzone sui venticinque anni dallo sguardo furbo e bonario che, appoggiato al bancone, parlava anche lui al cellulare.
Non si sa a chi o cosa stesse pensando il proprietario quando aveva deciso di chiamare il proprio locale "Il Gatto e la Volpe", ma sicuramente lui non era una volpe. Tenendo il telefono pigiato all'orecchio, parlava piano e male, come se avesse un'arancia in bocca, curvo, gettando occhiate circospette dappertutto. - Come in Quefstura? - disse. -- Mua puerché? -
-- Per via dello spaccio di pasticche alla marijuana in cui Lei è implicato - rispose una voce altisonante al telefono.
-- Puasticche alla marijuana? Mua guardi che è la pruima volta che le sento nominare! -
-- Suvvia, poche storie; la aspetto domani in Questura! - Una pausa. - E ora portami la mia Tequila, che è da dieci minuti che la aspetto! -
Il proprietario, Silvestro, si alzò di colpo e si guardò intorno. Poco lontano da lui, appoggiato al banco, vide il ragazzone venticinquenne: un micione. Era Daniele, un suo affezionato cliente che, col cellulare nella destra, lo stava salutando sorridendo.
-- Mua ke skerzi sono questi? - gridò Silvestro in direzione di gatton Daniele. Lui chiuse il cellulare, scuotendolo platealmente con due mani in segno di palese sfottò.
Silvestro lo mandò al diavolo, e lui scoppiò a ridere.
Silvestro smise di degnare il micione, e focalizzò l'attenzione sull'entrata del locale; Daniele seguì il suo sguardo, e si girò.
Silvestro non era una volpe, ma quella che entrò sì.
Con i capelli rossi e ricci che le fluttuavano lungo le spalle, gli occhi azzurri che sembravano illuminare l'intero locale, una canottiera nera e un paio di pantaloni neri attillati che le evidenziavano le curve, la donna entrò facendosi largo tra gli avventori e i tavoli del locale.
Un albanese la seguì, vigile, con lo sguardo.
La rossa girò la testa verso destra, alla ricerca di qualcuno; Daniele la intercettò. -- Ciao, eccomi qua. Mi stavi cercando, vero? -
-- No. A dire la verità stavo cercando qualcun altro - disse la rossa in tono sensuale, ancheggiando.
-- Bene. Allora sei proprio fortunata. Cercavi qualcun altro, e invece hai trovato me: meglio di così non ti poteva andare! -
-- No, non sono qui per te - disse, squadrandolo dall'alto in basso in tutta la sua stazza. - Considerati fortunato - concluse, dandogli due pacche sulla guancia, e si voltò verso l'uomo che beveva il Cuba Libre; un uomo che già conosceva; l'uomo che stava cercando.
Augusto Russo sollevò lo sguardo. Si erano conosciuti qualche sera prima, sempre lì, in quel locale. Lei l'aveva avvicinato e gli aveva proposto un affare: andare da un certo Mister Noir, detective privato, fingersi amico di un certo Guido Stagni, e assumere il detective per rintracciare l'amico scomparso; in compenso, lei gli avrebbe dato 1000 euro, 500 subito e 500 a contatto effettuato. Lui si stupì un po' per la generosa offerta, ma comunque accettò: era un periodo che aveva problemi di denaro, aveva contratto un debito con gente poco raccomandabile.
E poi l'idea lo solleticava: sarebbero stati come il Gatto e la Volpe.
Ora lui era lì, a guardare gli occhi azzurri della donna dal basso in alto.
L'albanese seguiva la scena, pronto a scattare: quella donna lo inquietava!
-- Ciao, bellezza. Sei venuta a pagarmi? - disse l'uomo con voce impastata.
-- Sono venuta a saldare i conti - rispose la volpe; e, con un gesto fluido delle mani, estrasse due grosse pistole nere che teneva infilate dietro, nella cintola dei pantaloni; Russo si alzò colto dallo stupore, e lei gli sparò due colpi in rapida successione, facendolo volare all'indietro sopra un altro tavolo e poi rovinare a terra.
L'albanese scattò in piedi, brandendo la propria pistola, ma la rossa lo centrò, sollevandolo da terra con un proiettile di grosso calibro.
La saletta adibita a saloon si trasformò in un vero e proprio saloon: pugni e proiettili cominciarono a partire, tavoli e sedie a ribaltarsi, bicchieri e bottiglie a frantumarsi.
La donna balzò sul bancone sparando a semicerchio su tutto e tutti, senza prendere la mira ma facendo a pezzi tutto ciò che capitava. Risparmiò solo Daniele, al quale, rannicchiato dietro un tavolo, strizzò l'occhio.
-- Sì, sì. Ho capito. Sono fortunato. Sono stato molto fortunato che non stessi cercando me. -
In quel momento, due energumeni di Puglisi entrarono nel locale, e furono subito falciati dai proiettili della killer.
Intanto, in fondo a Viale Sarca, altri due energumeni, a bordo di un'auto, tenevano d'occhio il locale aspettando il ritorno dei loro compagni e della donna.
Quando videro la folla di clienti terrorizzati eruttare fuori dal locale, si catapultarono fuori dall'auto e si precipitarono verso l'entrata.
La donna non doveva scappare, assolutamente!
Si fecero largo a spintoni tra i clienti urlanti che si riversavano fuori dal locale, ed entrarono, scavalcando i corpi dei loro due compagni.
Si guardarono intorno.
Della donna, nessuna traccia!
Andarono nella saletta attigua e, quindi, nel cortile; ma niente da fare!
La donna era fuggita, e loro erano nei guai!
A qualche isolato di distanza, la donna aveva nascosto la voluminosa parrucca sotto il maglione, raccolto i lunghi capelli castani sopra la nuca, e infilato le lenti a contatto azzurre nella tasca anteriore destra dei pantaloni. Ora stava camminando tranquillamente, trasformatasi in una dinamica ragazza incinta.
Ora doveva trovare il modo di sistemare quella faccenda!
Non aveva più una casa dove andare.
O meglio: ce l'avrebbe avuta, la casa di un amico su cui contare, ma era sicura che, appena si fosse avvicinata al portone, qualcuno nell'ombra l'avrebbe eliminata.
Di telefonargli per avvertirlo non se ne parlava: gli uomini di Beppe Puglisi le avevano sequestrato il cellulare.
Non poteva nemmeno andare in giro in quel modo, perché comunque gli scagnozzi di Puglisi l'avrebbero riconosciuta e braccata. E non aveva neppure un'auto!
E così, cominciò a camminare e a pensare alacremente.
La fortuna le venne incontro sotto forma di ristorante. "RISTORANTE DA TONI" informava l'insegna.
Il locale era chiuso, ma quella era la soluzione.
Ci sarebbe tornata l'indomani, all'ora di pranzo.
Quella notte l'avrebbe passata alla diaccio da qualche parte.
7. Sulle tracce della Cacciatrice
Beppe Puglisi, sedutosi già alla sua scrivania di primo mattino, brandiva una matita con la sinistra, e la spezzò col pollice. -- Quella fìmmina ha ucciso due dei miei òmini, ed è scappata! Mi ha babbiato!... Trovatela, e riportatemela ca! - disse alla coppia di energumeni sopravvissuta, che stava in piedi con le mani dietro la schiena di fronte a lui, dopo un'intera notte di ricerche vane.
I due salutarono il capo col capo, e se ne andarono.
Il boss tornò a osservare l'articolo sul giornale, rigirandosi nella mano destra il cellulare che aveva fatto sequestrare alla killer.
Fissò l'articolo, e meditò. Sì, certo, la morte di quel quaquaraqua gli procurava piacere, ma c'era un particolare che non quadrava: il colore della parrucca.
La donna dalla parrucca bionda entrò in un bar, infreddolita: aveva passato la notte nel cortile di un palazzo, approfittando di una coppietta che entrava, lontano dagli energumeni di Puglisi e dalla polizia.
Ordinò al banco un cappuccino e una brioche, e andò a sedersi ad un tavolino dove poteva vedere il televisore, acceso su un telegiornale del matino, e la strada.
Il cappuccino e la brioche arrivarono subito, il cameriere si raschiò leggermente la gola, e la donna, bella ma dallo sguardo fosco, guardò il prezzo sulla ricevuta e pagò.
Cominciò a mangiare, inzuppando la brioche nel cappuccino, tenendo gli occhi fissi sul televisore. E la notizia che sentì, anche se già la sospettava, non le piacque affatto: Mister Noir ed Elena Fox stavano aiutando la polizia, ed erano di nuovo sulle tracce di Serena Bonita!
La donna smise di masticare, col boccone ancora in bocca.
Era ora di contrattaccare, e di chiudere i conti una volta per tutte!
Guardò fuori, e vide una scena che non le piacque affatto.
Due pischelli, che arrivavano a stento ai 18 anni, stavano confabulando, guardando di nascosto dentro il bar, all'interno di un'auto sportiva nera.
Anche lei era sportiva, aveva bisogno di un'auto, ed era di umore nero. Quindi, decise di fare una buona azione, impedendo ai due pischelli di finire in guai grossi, e di premiarsi.
Finì la brioche, trangugiò il cappuccio, e uscì dal bar. Anche il pischello che era a fianco del neo-guidatore uscì dall'auto: lei lo bloccò, gli sfilò la pistola ad acqua dai pantaloni, spruzzò un paio di schizzi in aria, e gli sparò un sonoro ceffone da farlo crollare a terra.
Andò all'auto, dalla parte del guidatore. - Fuori! - ordinò, puntandogli l'arma contro. Solo quando vide l'espressione strabiliata del ragazzo si accorse che lo stava minacciando con la pistola ad acqua. La gettò via ed estrasse la propria. - Questa è vera! Fuori! -
Il ragazzo obbedì di corsa.
Lei salì sull'auto, e partì.
All'interno del suo studio, Mister Nioir guardò la prima pagina del giornale. Un titolo a caratteri cubitali comunicava che un uomo era stato ucciso in un locale di Milano.
IL GATTO E LA VOLPE - Il locale dove sarebbe andato lui, la sera precedente, se Elena Fox gli avesse risposto al telefono.
La fototessera pubblicata sul quotidiano ritraeva il viso serio della vittima. L'investigatore conosceva quel volto, ma il nome che gli era stato attribuito non corrispondeva.
L'uomo che si era presentato il giorno prima come Augusto Russo, e che aveva finito i suoi giorni, e le sue notti, al Gatto e la Volpe, secondo il giornalista si chiamava Alfredo Musso.
Elena Fox arrivò, e Mr. Noir disse: -- Ho una buona notizia. A quanto pare, il nostro "impacciato" cliente soffriva di amnesia: non si chiamava Augusto Russo, ma Alfredo Musso -.
-- E allora? -
-- E' morto - rispose lui, mostrandole il quotidiano. - D'ora in poi, tutto quello che scopriremo sarà la verità. -
Elena, aggrottando buffamente le sopracciglia, prese il giornale.
-- E poi, ho scoperto un'altra cosa - disse l'investigatore, facendo apparire sul monitor il file PDF dell'articolo scannerizzato che aveva visionato la sera prima. -- Quella donna... non la riconosci? Non ti ricorda qualcuno? - disse, indicando la donna riccia che aveva identificato come l'attuale signora Stagni.
-- Sì, ma voglio che lo dica tu. Sei tu il capo! -
-- E' Monica Giuffrida, moglie di Stefano Giuffrida... Hai presente? -
-- Certo! - esclamò lei con un tono leggermente risoluto. - E' stato quando non ho fatto la conoscenza della mia simpatica sosia... Comunque, mi ricordo bene quel caso; era luglio, e teoricamente dovevo essere in vacanza, io!... Perché invece mi sono trovata immischiata in un caso? -
-- Semplice: hai presente il detto "Luglio e agosto, moglie mia non ti conosco"? -
-- Sì, e allora? -
-- Ecco: mica siamo sposati, noi! -
Elena gli scoccò un'occhiataccia.
-- Comunque la killer... la Bonita... è gentile: avverte sempre tre volte prima di agire --.
-- Già, come ha fatto con il giudice Anioni. -
Il detective era perplesso. - Serena Bonita dà la caccia a Stefano Giuffrida, alias Guido Stagni, suo unico contratto rimasto incompiuto, per vendicarsi; lo identifica, lo minaccia secondo le sue regole, e lui scappa. Nel frattempo, sempre la Bonita, decide di occuparsi anche del giudice Anioni, facendosi beccare. Dopodiché, un finto cliente, che ormai possiamo considerare insolvente, si presenta da noi sotto falso nome incaricandoci di ritrovare il suo "amico" Guido Stagni. -
-- "Finto cliente" dici? -
-- Certo. Ci ha dato nome e numero di cellulare falsi. Appena ci ha assunti è scomparso, dileguandosi. --
-- Complice della Bonita? -
Mr. Noir la guardò di sottecchi, sorridendo. - Suona strano detto da te. -
Elena roteò gli occhi. -- ...Della Gertrude. Va bene se la chiamo Gertrude? -
-- Meglio. Comunque, non penso che il tipo ne fosse consapevole. Ricordati che la nostra Gertrude è una maga dei travestimenti, e l'articolo parla di una donna dai capelli rossi e gli occhi azzurri. -
-- Proprio come Gertrude con parrucca e lenti a contatto colorate. -
-- Appunto. -
-- E così il nostro Augusto Russo, o Alfredo Musso, dopo essersi beccato, con ogni probabilità, un acconto dalla Bonita, si è beccato, come saldo, un paio di pallottole. -
-- Che comunque hanno un loro valore! -
Elena lo guardò male
Fu in quel momento che il detective se ne ricordò. Durante l'avventura a Misterbianco uno dei possibili bersagli della killer si chiamava proprio Augusto Russo, ed era il miglior amico di Giuffrida; Serena Bonita doveva essersene ricordata e aver assunto Alfredo Musso per impersonarlo.
Se il vero Augusto Russo l'avesse visto, probabilmente l'avrebbe eliminato lui stesso!
Era quasi mezzogiorno, e la donna che vide entrare nel suo ristorante era bionda e riccia, ma lui, Antonio Castri detto Toni, la riconobbe dagli occhi.
Avevano trascorso tante notti insieme, e lui le aveva fornito tante identità, donandole i documenti da lei richiesti: sempre splendidamente falsi.
Se Serena Bonita era lì, voleva dire che aveva bisogno di una nuova identità.
La donna andò nei bagni, e Toni la seguì.
Lui la prese per le spalle, la spinse dentro un vano, e la baciò. - Cosa ci fai qua? -
-- Mi occorre il tuo aiuto. - E ricambiò il bacio.
-- Ma perché hai fatto quel casino con il giudice? - E la baciò.
-- Perché pensavo a te. -- E lo baciò.
-- Non capisco. - Bacio.
-- A chi lo dici! - Bacio.
-- Vieni a mezzanotte. Ti darò tutto. -
-- Non mancherò. Contaci. - Lo accarezzò. Poi, a buon conto, lo baciò.
Per non far faticare la sua assistente, che comunque doveva essere sempre pronta a menar le mani, Mister Noir decise che quel giorno si sarebbero spostati col suo furgone nero, munito di pedana elettrica e cambio automatico, che guidava lui stesso.
Stavano recandosi, assieme al commissario Cordieri e all'ispettore Tommasi, al Ristorante Da Toni. Infatti, anche se non esisteva una rivista di gossip dedicata ai criminali, c'erano due cos che indipendentemente dalle prove, tutti sapevano: la prima era che Antonio Castri detto Toni era un falsario; la seconda era che Toni era l'amane di Serena Bonita.
Toni, dotato di una faccia di tolla incredibile, andò loro incontro con uno smagliante sorriso. - Commissaro!... Come va? Qual buon vento la porta? -
-- Vento di tempesta!... Dov'è Serena Bonita? -
-- E' lì - disse, indicando scherzosamente Elena Fox.
-- Senti, Toni, ieri mi hanno sparato addosso con un mitra, quindi sono di pessimo umore. -
-- Mi dispiace che le abbiano sparato, ma... --
-- Va bene, per ora ti credo; ma se scopro che mi hai mentito, ti arresto e poi butto via entrambe le chiavi: quella del ristorante e quella della tua cella. Chiaro?! -
Toni assentì sorridendo.
I poliziotti erano andati via da pochi minuti, quando Toni telefonò a Bonita. Quando sentì che aveva preso la comunicazione, prima ancora di sentirla dire "Pronto?", lui le disse: -- Ciao, sono io! E' venuta qui la polizia, mi hanno chiesto di te, ma io ho negato di averti vista. Ci vediamo a mezzanotte. Stai attenta! -
E riattaccò, senza farle pronunciare una sola parola, convinto di aver fatto una cosa giusta.
Le intenzioni di Toni erano buone: aveva telefoonato a Serena per avvertirla, non aveva fatto alcun nome, ed era stato velocissimo; aveva seguito tutte le misure per non farsi identificare.
Sì, Toni era stato bravo.
Solo l'interlocutore era sbagliato.
Beppe Puglisi stette fermo ancora per qualche secondo, col cellulare che aveva sequestrato alla killer attaccato all'orecchio.
Si concentrò per riconoscere la voce, e la identificò. Era quella di Toni, il falsario: in passato anche lui aveva usufruito dei suoi servigi, e sapeva dove trovarlo!
Mister Noir, in abito nero, alla guida del suo furgone nero, stava dirigendosi verso casa. Dato che quella sera sarebbero dovuti andare a Castelletto Ticino, e c'era il rischio di uno scontro con Serena, aveva conceso a Elena mezza giornata di riposo.
Ma, in realtà, sentiva che c'era qualcosa che non andava in quella faccenda.
Forse stava considerando quella vicenda dalla prospettiva sbagliata. Forse il vero bersaglio di Bonita non era Stagni; così come non lo era Anioni. L'unica cosa che avevano in comune Stagni e Anioni era... la loro conoscenza!
Sì. Era vero! Erano loro, lui ed Elena, il vero bersaglio della killer!
Si voltò di scatto, per dirlo subito alla sua amica-assistente, ma il suo istinto lo fece trattenere.
Giunto a casa, Mr. Noir congedò subito Elena, raccomandandole di tornare quella sera alle 9 per andare al Circolo di Castelletto Ticino.
Andò nel suo studio e accese il computer.
Doveva riflettere!
E così Serena Bonita voleva vendicarsi di loro! Molto bene!... Ma come aveva fatto a trovarli?
In fondo, ai tempi di Misterbianco solo Elena era apparsa in televisione, mentre lui era sempre rimasto in incognito.
Andò a ritroso nel tempo, fino a 3-4 mesi prima, e allora capì.
8. La Volpe e la Cacciatrce
La casa di Elena Fox era in ordine, ma la porta d'ingresso era stata divelta: qualcuno aveva fatto saltare la serratura con tre colpi di pistola.
E lei sapeva chi!
La donna andò sparata come una furia in camera. Aprì il cassetto centrale della scrivania di fronte alla finestra, impugnò le due pistole di grosso calibro che vi teneva, e se le infilò dietro, nella cintola dei jeans. Prese per un attimo la parrucca rossa in mano, ma la rigettò con sdegno nel cassetto.
Prese il cellulare, e fece una telefonata.
I tempi dei giochi erano finiti!
Aprendo le apposite cartelle, aveva trovato quel che cercava. L'articolo, con relativa foto, risaliva a quattro mesi prima, e riguardava l'assegnazione del titolo di Miss Detective a Elena Fox, assegnato, a livello europeo, a chi aveva saputo distinguersi nel proprio lavoro.
Serena doveva aver appreso la notizia all'estero; e, avendo letto che viveva a Milano e lavorava per lui, aveva pianificato la sua vendetta.
Mister Noir sorrise. Chissà cosa sarebbe successo se a ritirare il premio fosse andata Serena Bonita?
Smise di sorridere, ricordandosi che, due giorni prima, quando erano sul tetto a lottare, Elena e Serena erano sparite dalla vista di tutti.
All'improvviso, il sorriso tirato di Elena quando le aveva ricordato di avvicinarsi con il donnone e il grido di gioia del bambino B&B nel rivedere la sua Sylvie, assunsero significati completamente diversi.
Anche il cellulare spento di Elena la sera dell'omicidio di Alfredo Musso, ora assumeva un significato preciso. Non era stata una distrazione o una dimenticanza. E non era in possesso di Elena.
In quel momento, il telefono trillò; Mr. Noir controllò il numero sul display: era quello di Elena Fox. Rispose col vivavoce, e la donna l'avvertì che qualcuno era entrato in casa sua, mettendola a soqquadro; tra poco sarebbe stata da lui.
I due energumeni al servizio di Beppe Puglisi erano in auto, e avevano visto la donna dalla parrucca bionda entrare nell'edificio dove abitava Antonio Castri, detto Toni.
I due uomini non erano i soli a tenere d'occhio la donna. Oltre a loro c'erano altri quattro spioni: due erano poliziotti, incaricati da Cordieri di sorvegliare la casa di Castri, e gli altri due erano una coppia di energumeni supplementari, mandati da Puglisi all'insaputa dei primi.
La finta bionda entrò in casa di Toni alle 8.30 di sera, molto prima dell'appuntamento previsto, e piombò nel suo appartamento avvinghiandosi a lui, baciandolo. Lo spinse contro il lungo mobile del corridoio, e chiuse la porta con un colpo di tacco.
-- Serena, sei in anticipo! - esclamò lui.
-- Non potevo resistere - rispose lei. E lo baciò di nuovo, facendosi trasportare in camera sua.
-- Mi sei mancata tantissimo! Le tue labbra sono inconfondibili!... La tua bocca!... Il tuo collo!... Le tue spalle!... -- disse, slacciandole la camicia gialla e baciandole la spalla sinistra. - Il tuo tatuaggio!... -- Si bloccò di colpo. - Hey! Dov'è il tuo tatuaggio? -
-- Cosa? -
-- Il tuo tatuaggio, la rosa nera che mi diverto sempre a mordicchiare, dov'è? -
La finta bionda roteò gli occhi. - Ehm!... Ho usato un pesticida sbagliato! -
-- Ehi! Ho capito! Tu non sei Serena! Tu sei quella schifosa della detective! - disse, allontanandosi di qualche passo.
-- Schifosa a chi??? -
La reazione di Elena fu immediata: gli sferrò un calcio in pieno petto che lo fece mandare a sbattere contro la parete, e un sinistro in faccia che lo tramortì; dopodiché, lo prese per i risvolti della camicia e lo scaraventò sul letto matrimoniale, bocconi.
Lei gli montò sopra a cavalcioni, e gli storse il braccio destro dietro la schiena, tenendolo rigido e perpendicolare al corpo.
-- Scusa. Tu sarai anche un bravo ragazzo, ma io ho una piccola questione in sospeso con la tua fidanzata. Sai, ha rubato la mia identità, sostituendosi a me senza il mio permesso, procurandomi un sacco di guai. E io sono molto, molto arrabbiata. -
-- Come mi hai trovato? -
-- Hai presente le Pagine Gialle? Ecco: ti ho trovato consultando le loro sorelle, le Pagine Bianche. --
Notò che sul comodino a sinistra del letto c'era un telefono fisso. - Ah! Ti piace la vita comoda!... Molto bene, facciamo subito una telefonata! --
Mollò il braccio destro, abbrancò con entrambe le mani il colletto della camicia, e, andando carponi, trascinò l'uomo sul letto fino al telefono. Sollevò la cornetta e compose il numero di casa di Mister Noir.
Il telefonò squillò due volte, poi Elena sentì lo scatto di un otturatore alle sue spalle, si voltò, e vide i due energumeni di Beppe Puglisi puntarle addosso le loro armi da fuoco. Elena calò la cornetta sulla nuca di Toni, stordendolo, e rotolò dalla parte opposta del letto, accovacciandosi per terra.
Un proiettile andò a colpire il telefono, facendolo esplodere, mentre altri seguirono invano la traiettoria della detective.
I due energumeni si avvicinarono al letto, piano piano, aggirandolo: uno si fermò ai piedi del letto, l'altro oltrepassò la sponda spianando la pistola in avanti, nel punto in cui doveva esserci la donna.
Ma la donna non c'era.
Appiattendosi contro il pavimento era scivolata sotto il letto e l'aveva attraversato di sbieco, sbucando dalla parte opposta, preparandosi con braccia e gambe a scattare in ginocchio.
Ci vollero due secondi perché i due energumeni capissero cos'era successo; quanto bastò a Elena per rizzarsi in ginocchio, sparare due colpi, e fare due centri.
Si alzò in piedi. Si tolse la parrucca bionda, che gli aveva dato la sera prima Beppe Puglisi credendola Serena Bonita, e la lasciò cadere sulla schiena di Toni: quando Puglisi avesse saputo dello scempio, avrebbe dato la colpa a Bonita.
Elena vide il cellulare di Toni uscirgli dalla tasca; lo prese senza troppi complimenti. Uscì a passo spedito, decisa a fermare la killer e a riprendere la propria identità.
La donna che uscì dalla casa di Toni non era più bionda, aveva dei lunghi capelli castani che le arrivavano fino alle spalle, ma né i poliziotti né gli energumeni ebbero dubbi: era proprio lei: Serena Bonita.
Avviarono le proprie rispettive auto, e, all'insaputa gli uni degli altri, la seguirono.
Il telefono di Mister Noir aveva squillato solo due volte, ma il numero del chiamante era rimasto sul display, e aveva fatto la ricerca sul sito delle Pagine Bianche.
Sogghignò.
Era come pensava. La telefonata proveniva dalla casa di Antonio Castri; e sicuramente non era stato lui a farla!
Il telefono squillò di nuovo. Il numero che apparve sul display non lo conosceva, ma il detective non aveva dubbi su chi fosse.
-- Ciao, sono io. Sto venendo lì - disse Elena.
-- Era ora. E' da ieri che ti sto aspettando. -
Elena riattaccò.
Poco prima delle 9, Serena Bonita, ignara di essere stata scoperta, giunse a casa di Mister Noir ancora nei panni di Elena Fox.
Era stato semplice sostituirsi a lei. C'era solo una cosa che le differenziava quando stavano lottando sul tetto: il colore del maglione. E dopo che aveva stordito l'avversaria, fuori dalla vista di tutti, era stata questione di un attimo scambiare i due maglioni.
Aveva goduto tantissimo quando neanche il suo capo, il suo grande amico, si era accorto dello scambio di persona. E ora, dopo aver eliminato l'ex Stefano Giuffrida davanti agli occhi increduli del detective, avrebbe goduto ancora di più.
Entrò nell'appartamento del detective, vestita con canottiera nera e pantaloni neri attillati. Non degnò Consuelo, che le stava venendo incontro.
-- Allora, andiamo? - disse bruscamente al detective, vedendolo comparire in corridoio.
Mister Noir sapeva bene con chi stava parlando, ma, conservando il suo perfetto aplomb inglese con tanto di sorriso, rispose: -- Sì, certo --.
Avviandosi verso l'uscita con la carrozzina elettrica, Mr. Noir disse a Consuelo di andare a pulire il computer; Consuelo rimase un po' interdetta da quella richiesta, ma, dopo che i due detective se ne furono andati, obbedì.
Consuelo andò nello studio, e notò il monitor acceso e le parole che c'erano scritte: KIAMI POLIZIA, seguite da un indirizzo di Castelletto Ticino.
-- Oh, seňor! Se non si mette in qualche grosso pasticcio non è contento! - disse, parlando tra sé.
La donna, capendo che il suo capo, a cui voleva un bene dell'anima, si era ficcato in grossi guai, brontolando un po' eseguì.
Alla guida del suo furgone, Mr. Noir guardò di sottecchi la finta Elena Fox.
Stava andando a velocità moderata, in modo da permettere alla sua vera assistente di raggiungerli. Elena sarebbe andata a casa sua facendo prendere un coccolone a Consuelo, che però le avrebbe dato subito l'indirizzo di dove stava andando.
Doveva ammetterlo: Serena l'aveva organizzata proprio bene! Appresa la notizia di Elena Fox Miss Detective, Serena Bonita si era trasferita a Milano, architettando la messinscena della venditrice di libri, certa che, al momento "opportuno", i due detective avrebbero trovato le cimici; poi, tenutasi nascosta nel B&B di Sesto San Giovanni, origliando i loro discorsi per carpire le loro intenzioni e, soprattutto, i loro rapporti e il modo di parlare dell'investigatore, che la detective non aveva alcuna difficoltà capire e che quindi lei, Serena, doveva imparare alla perfezione. Infine, aveva cominciato a minacciare Anioni, insospettendoli e facendosi "beccare".
Ora lui era lì, che la stava trasportando verso il suo bersaglio.
C'era solo un punto che gli era oscuro: Se Serena Bonita era stata con lui sin dall'inizio, chi aveva fatto fuggire Elena Fox credendola la killer?
La risposta gli venne automatica: Beppe Puglisi, figlio di Vito Puglisi, che viveva a Milano. Sì, forse era una soluzione un po' troppo facile, dato che presupponeva che tutta la vicenda gravitasse attorno a Misterbianco, ma chi aveva detto che le soluzioni dovevano essere per forza
Le due auto che la stavano seguendo non le piacevano affatto; o meglio: le auto erano carine, ma chi stava dentro probabilmente no.
Decise che non era prudente andare a casa di Mr. Noir senza averli prima seminati, così lo chiamò per informarlo del cambiamento di programma.
Rispose Consuelo Gomez. - Seňorita Elena, che piacere sentirla! Voleva scusarsi con me per non avermi salutato prima, vero? -
-- Ehm!... sì, certo! - disse Elena, capendo al volo tutta la situazione. - Senta, potrebbe ricordarci dove stiamo andando? -
-- Come? -
-- L'indirizzo - rispose Elena, sicura delle capacità pragmatiche del suo capo.
All'altro capo del filo, Consuelo strabuzzò gli occhi, guardò la cornetta con sguardo un po' enigmatico, ma poi obbedì.
Elena prese mentalmente nota dell'indirizzo, e accelerò.
Da quando Cordieri e i suoi uomini non avevano creduto che lei era Elena Fox, negandole persino un confronto con Mister Noir, aveva deciso di fare scena muta.
Per fortuna erano arrivati quei delinquenti dei Puglisi.
Non sapeva cosa c'entrava Castelletto Ticino in quella storia, ma era contenta di essere tornata sulle tracce della sua sosia.
Gli energumeni di Puglisi, dietro a Elena Fox, e gli uomini di Cordieri, dietro a loro, chiamarono i loro rispettivi capi. Entrambe le coppie avevano ricevuto l'ordine di seguirla: i poliziotti perché speravano che la donna li portasse dal mandante dell'omicidio di Alfredo Musso, l'uomo ucciso al Gatto e la Volpe, e gli energumeni semplicemente perché non erano stati abbastanza svegli da bloccarla prima.
Cordieri, che aveva ricevuto la telefonata di Consuelo Gomez, ordinò ai suoi uomini di continuare a seguirla, ché probabilmente si stava recando al Circolo di Castelletto Ticino (e diede loro l'indirizzo), e che lui stesso stava andando là con Tommasi.
Puglisi, che non aveva più ricevuto notizie dai primi due, traendo le logiche conclusioni, disse di tenerlo aggiornato sugli spostamenti, che li avrebbe raggiunti e avrebbe strappato il cuore di quella fìmmina infame con le sue proprie mani. E l'avrebbe fatto proprio lì, dove pinsava di essere al sicuro.
I due energumeni si accorsero dell'auto alle loro spalle, i due poliziotti si accorsero dell'auto che, davanti a loro, probabilmente stava seguendo la donna.
Fu in quel momento che Elena accelerò.
-- Ma perché vai così piano? - disse la finta Elena Fox.
-- Stavo pensando a Guido Stagni. Com'è possibile che un uomo, che solo due anni fa ha seminato la Cacciatrice andandosi a cacciare nel primo portone che gli era capitato, ora vada a ficcarsi nel posto più prevedibile di tutti? -
-- Perché è la mossa più imprevedibile di tutte. -
-- Sì. Ma perché Serena Bonita ci avrebbe assunti, se già conosceva le sue abitudini? -
-- Chi ci avrebbe assunti??? -
-- Serena Bonita. Con uno scopo ben preciso: ucciderlo, facendoci sentire "indispensabili" per la riuscita della sua vendetta. -
E così dicendo, guardando nello specchietto retrovisore per vedere se arrivavano i rinforzi, imboccò lo svincolo ed entrò a Castelletto Ticino, ben consapevole che, ogni metro in più, lo avvicinava alla fine di Guido Stagni e alla propria.
9. La fine dei giochi
Erano arrivati a destinazione; l'indirizzo era quello giusto.
Mister Noir parcheggiò il più lentamente possibile. Dallo sguardo fosco di Serena, intuì che lei aveva capito che lui l'aveva scoperta; e, una volta trovato Guido Stagni, le cose sarebbero precipitate.
Entrarono.
Quello che veniva chiamato Circolo era, in realtà, un grosso bar, con veranda, che riuniva tutti gli adulti del quartiere. I tavolini e le sedie di metallo rendevano un po' freddo l'ambiente, ma l'accoglienza che riservavano i proprietari, un'anziana coppia di allegroni, ricolmava il locale di calore.
Guido Stagni era ad un tavolo abbastanza vicino all'entrata, con altri tre uomini. Giocava a carte. Come da programma.
Mister Noir e la terribile Serena Bonita si avvicinarono. Giuffrida/Stagni, vedendo il detective, e pensando quindi che la donna fosse Elena Fox, non seppe trattenersi dall'alzarsi con uno smagliante sorriso per stringere la mano al detective.
-- Finalmente ci rivediamo! - disse.
L'investigatore ebbe la sgradevole sensazione che l'uomo avesse pronunciato una formula magica, una sorta di "Apriti Sesamo!". Infatti, appena sentito la sua esclamazione, la donna mutò d'espressione. - Ma noi non ci conosciamo! - sibilò, estraendo d'un tratto la pistola e puntandola contro Stagni.
L'uomo sobbalzò e si ritrasse.
-- No, non è Elena Fox impazzita - disse Mr. Noir per rassicurarlo. - E' proprio la killer! --
-- Quando hai cominciato a capire? -
-- Hai presente il bambino? "Sylvie! Ciao, Sylvie!" Ecco, quello, unito al tuo nervosismo, mi ha fatto insospettire. Poi, ho cominciato a fare tutti i collegamenti. --
-- E me? Come ha trovato me? - le chiese, timoroso, Guido Stagni.
-- Per puro caso. Ero a Milano per elaborare il piano della mia vendetta verso lui e la sua assistente, quando un mercoledì sera, la incontrai, la riconobbi, e la seguii fino a casa. Avrei potuto eliminarla subito, questo è vero, ma mi sembrava più divertente unire le due vendette, e far sentire il grande Mister Noir colpevole dell'omicidio dell'uomo a cui aveva salvato la vita. -
-- E come facevi a sapere che i poliziotti non mi avrebbero creduta? - le domandò una voce celestiale alle sue spalle.
Serena si voltò, ed Elena le sferrò un diretto sul naso; Serena indietreggiò di qualche passo. Elena, compiendo un doppio movimento circolare della gamba, prima la disarmò, poi la colpì in faccia: Serena crollò su un tavolo, bocconi, ma subito si rialzò ravviandosi i capelli. - Non ti è bastata la lezione che ti ho dato due giorni fa? Ne vuoi un'altra? -
-- Guarda che, rispetto a due giorni fa, io ora sono molto, molto arrabbiata. Mi sono dovuta immedesimare in te: ti rendi conto che schifo? -
Serena non se ne rendeva conto, e l'attaccò.
Si scambiarono calci e pugni, e un manrovescio di Serena aveva fatto ruotare Elena su se stessa, quando Mister Noir notò dei movimenti fuori dalla porta. Si accostò sulla destra.
Il primo che entrò fu Beppe Puglisi, che sparò un colpo per far interrompere l'incontro. Le due ragazze si bloccarono, ognuna con le mani sugli avambracci dell'avversaria, mettendo in mostra le loro magnifiche silhouette, e lo fissarono.
Il boss avanzò con la pistola spianata e i due energumeni al seguito, lasciandosi l'handicappato alle spalle.
Vedendo le due donne identiche, Puglisi domandò: -- Che succede ca? Chi è la fìmmina infame che devo ammazzare? -.
-- E' lei - rispose prontamente Elena. - Ha una rosa nera tatuata sulla spalla sinistra - rincarò, fingendo di non conoscerlo.
Puntò l'arma su Serena, caricando il cane, poi si bloccò. - Ehi, aspetta un momento!... Se lei è l'infame che ha ucciso quattro dei miei òmini, tu sei quella che ha aiutato a mandare in galera mio patre. -
- Sì. E anche quella che ha mangiato a sbafo a casa tua. -
Puglisi la scrutò. - Quindi, eri tu quella dotata di senso dell'umorismo. -
-- Ovvio! -
-- E mentre tu ti divertivi alle mie spalle, lei stava facendo "a gratis" il lavoro per il quale pìnsavo di averla pagata. -
-- No, l'ha fatto qualche ora dopo; ricordi? -
Un sorriso cattivo increspò le labbra del boss. - Sempre spiritosa - disse. E spostò la mira su di lei.
Mister Noir non portava la pistola perché la sua tetraparesi spastica non gli avrebbe permesso di estrarla con rapidità, ma i quattro arti del corpo li muoveva comunque agilmente. Quindi, quando vide Puglisi puntare la pistola su Elena decise di intervenire: studiò quale traiettoria fosse meglio seguire per fare strike, optò per quella diagonale, e accelerò.
I tre malviventi formavano un perfetto triangolo equilatero dalle dimensioni ridotte. Mister Noir, che si trovava qualche metro indietro, alla destra del trio, si insinuò tra un energumeno e il boss, montando con le grosse ruote sui piedi del primo, e colpendo con le pedane di acciaio le caviglie del secondo che crollò a terra.
Il secondo energumeno puntò il suo cannone su Mister Noir, mentre le due ragazze avevano ricominciato a pestarsi; il cannone dell'energumeno, però, era troppo vicino al bersaglio, e la mano sinistra del detective, con un colpo mancino scattò da destra a sinistra, colpendo la mano armata dell'avversario, che sparò automaticamente... ferendo alla spalla il compagno, già dolorante ai piedi, che stramazzò al suolo ancora più dolorante.
Mister Noir accelerò, e travolse pure il secondo energumeno, che cadde a terra supino perdendo la pistola. L'uomo tentò di rialzarsi, ma il detective, con una veloce giravolta di 180 gradi, lo colpì sul naso: l'uomo svenne.
L'altro energumeno si era messo carponi, e stava cercando di recuperare la pistola. Mr. Noir se ne accorse, compì un rapido dietrofront, e ci passò letteralmente sopra.
Elena e Serena continuavano a scazzottarsi; entrambe sembravano sfinite, ma Mister Noir aveva altro a cui pensare: Beppe Puglisi si era rialzato e si stava dirigendo verso il bancone chiuso dove i due anziani proprietari, immobili, stavano assistendo a tutta la scena.
Mister Noir piombò alle spalle di Puglisi, e gli sferrò un doppio-calcio alla schiena. Il boss piombò stremato sul bancone; il detective lo colpì alle giunture delle ginocchia, l'uomo cadde carponi, e lui gli afferrò il collo tra le gambe, incrociando i piedi e stringendo con forza, per immobilizzarlo.
Purtroppo, però, non era finita: allo schiocco di un pugno vide Elena arrivare sfinita e aggrapparsi al bracciolo della sua carrozzina. - Non ce la faccio più - ansimò. - Neanche da infuriata riesco a batterla. -
-- Forse non sei infuriata abbastanza. --
-- Perché, tu sapresti farmi infuriare di più? -
-- Certo. Per te questo ed altro! - disse, dando una scrollatina a Puglisi che tentava di ribellarsi.
Elena allargò le braccia in segno di impazienza; intanto Serena si stava avvicinando, minacciosa.
Il detective voleva fare un discorso un po' articolato, in modo che Serena si avvicinasse abbastanza da poter essere colta di sorpresa dalla reazione di Elena, ma non riusciva a concentrarsi sull'articolazione del linguaggio se doveva badare anche a Puglisi; quindi, decise: mollò di colpo il collo del boss, e, sempre con i piedi, gli sbatté la testa contro il banco, stordendolo.
Serena si stava avvicinando sempre più.
-- Vedi... Devi sapere che ieri... --
Serena si era avvicinata ancora di più.
-- ...mentre praticamente stavamo parlando di te... --
Serena era quasi arrivata a tiro, ormai.
-- ...lei ti ha soprannominata Gertrude. -
-- Che cosa??? - Elena si alzò, si girò di scatto, e le rifilò un destro direttamente dritto sul naso: Serena cadde supina, a braccia allargate, e priva di sensi.
-- Sai?, avete una cosa in comune voi due - disse l'investigatore contemplando la figura della killer.
-- Ah sì? E quale? -
-- Tu sei carina, lei è Bonita! -
Lei lo guardò assolutamente inespressiva, come neanche Chuck Norris sapeva fare.
-- Fermi tutti, polizia! - ordinò Cordieri sulla soglia.
Mister Noir girò la testa, inarcò le sopracciglia, e con la sua tipica espressione da sfottò disse: -- Volete un tè? --.
Cordieri si era presentato con l'ispettore Tommasi, i due agenti in borghese che - contrariamente agli energumeni di Puglisi -, non erano riusciti a stare dietro a Elena Fox, e ad alcuni agenti in divisa.
Una coppia di questi, quando prelevarono la killer, furono fermati da Elena. - Ehi, aspettate! - Elena tastò il corpo di Serena, e dalle tasche dei pantaloni fuoriuscirono il suo cellulare e il suo mazzo di chiavi. - E quando sarai in prigione ti manderò il conto della serratura! -
Quando i due agenti portarono via la sua sosia, Elena spiegò: -- Non si era limitata a scambiare il suo maglione con il mio, ma mi aveva rubato anche carta d'identità, chiavi, e cellulare. Si nascondeva da me, usava la mia auto e il mio cellulare!... Se andate a casa mia, troverete ancora la parrucca rossa che ha usato per il delitto Musso!... Oggi ho dovuto far saltare la serratura a colpi di pistola, per poter entrare nella mia casa! -
-- E perché oggi sei dovuta andare a casa tua, scusa? -
-- Per cambiarmi, che domande! -
-- Comunque, Serena Bonita ha eliminato solo due scagnozzi di Puglisi, non quattro, come invece ha detto lui, giusto? - disse Mister Noir, intuendo cos'era successo a casa di Antonio Castri.
-- Sì, ma era così convinto che non mi sembrava carino disilluderlo! --
Stava per andarsene, ma si fermò. - Ah, dimenticavo! Queste sono le chiavi dell'auto con cui sono venuta. Era in mano a due pischelli che volevano fare una rapina armati di una pistola ad acqua. Non ci riproveranno mai più! -
E, detto ciò, se ne andò, lasciando il commissario con un paio di chiavi anonime e molte auto su cui provarle.
Epilogo
Mister Noir concesse a Elena un'intera settimana di vacanza.
Il venerdì successivo, alle 6 del pomeriggio, Mr. Noir era alla guida del suo furgone neo, diretto con Elena ad un certo appartamento di Sesto San Giovanni. L'astuzia di Serena Bonita di presentarsi al B&B col proprio aspetto, in modo da poter tornare con lui recitando facilmente la parte della sorella di Sylvie, meritava di essere premiata.
-- Dove andiamo? - chiese Elena.
-- A mantenere una promessa. -
-- Fatta da noi? -
-- Più o meno. -
-- A chi? - chiese Elena, in un'espressione di ironica rassegnazione.
-- Ad un tuo nuovo spasimante. -
-- E' giovane almeno? -
-- Sì, di cinque anni. -
-- Nel senso che ne ha 20? - disse Elena, togliendo cinque anni alla propria età.
-- No, no; nel senso che ne ha proprio 5. -
Appena la porta d'ingresso della famiglia B&B si aprì, il bambino biondo non ebbe dubbi: spalancò le braccia, gli si illuminò il viso, e correndole incontro gridò: -- Ciao, Sylvie! -.
Elena capì tutto e, scoccando un'occhiataccia a Mr. Noir, si chinò verso il bambino e improvvisò un perfetto accento francese.
NOTA DELL'AUTORE
Il racconto, manco a dirlo, è di pura fantasia; tuttavia, alcune cose è meglio specificarle.
La località di Misterbianco esiste, e, appena il mio amico Enzo, il libraio "notturno" di Celle Ligure con cui trascorro molte nottate estive, me ne ha parlato, non ho saputo resistere e ho mandato Mister Noir lì.
Poi, secondo un sito Internet che ho consultato, "Giuffrida", "Puglisi", e "Russo", sono tra i dieci cognomi più caratteristici di Misterbianco; i personaggi, tuttavia, sono di mia totale invenzione, e nessuno di loro si ispira a persone reali.
L'unico personaggio reale che compare è Daniele che, avendomi aiutato nella descrizione del locale Il Gatto e la Volpe, gli promisi un "cameo". Lui è veramente buono e "giocherellone" come appare nel racconto, ma la scena che lo vede protagonista è ovviamente inventata.
Alcune cose, come l'amicizia, non si possono dimenticare, e la cascina di Castelletto Ticino vuole essere un piccolo omaggio ad un grande amico d'infanzia, Luciano, che ormai, purtroppo, non vedo più da due vite: la mia e la sua.
S. R.
©Sergio Rilletti, 2005