Pagare il giusto: il 2009 consolida le conquiste del 2008
L'avvocato Trebeschi illustra le recenti tre ordinanze dei TAR che riconoscono le ragioni delle persone con disabilità di fronte alle illegittime richieste di partecipazione alla spesa.
Si allunga la serie delle pronunce che riconoscono l'immediata precettività del principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito sancito dall'art. 3 co. 2 ter D.Lgs. 109/1998.
In particolare il TAR Milano, III Sezione, con ordinanza 9.1.2009 n. 10, ha confermato che, in base all'art. 3 co. 2 ter D.Lgs. 109/1998, ai fini della determinazione delle modalità di contribuzione costo di prestazioni sociali agevolate a favore di persone con handicap permanente grave bisogna tener conto della situazione economica del solo assistito e non già di quella del nucleo familiare.
I giudici milanesi fanno proprio e richiamano l'orientamento espresso dalle sentenze 10.9.2008 n. 4033 della IV Sezione del TAR Milano, e 11.1.2007 n. 42 del TAR Catania. Il TAR Catania, con sent. 42/2007, per primo aveva affermato che, nella parte in cui viene valorizzata la situazione economica del solo assistito, la norma può essere direttamente applicata, anche a prescindere dalla mancata adozione del D.P.C.M. in essa previsto, trattandosi di prescrizione immediatamente precettiva, che non necessita di disposizioni attuative di dettaglio; mentre con la sentenza 10.9.2008 n. 4033 la IV Sezione del TAR Milano aveva altresì messo in luce come la questione si inquadrasse nell'ovvio rispetto della gerarchia delle fonti del diritto, precisando che la mancanza di un atto amministrativo di natura regolamentare, che non è stato adottato a distanza di dieci anni dall'approvazione della norma di legge che ne autorizza l'emanazione, non può inibire l'applicazione di una norma che possiede in sé sufficienti caratteri di determinazione per essere suscettibile di applicazione anche in assenza della normativa di dettaglio. Significativamente, la Sezione, nell'accertare le ragioni di tale ritardo, evidenziava e censurava proprio il comportamento dei Comuni che, attraverso i loro enti associativi in sede di Conferenza unificata, avevano fatto resistenza all'approvazione dello schema di decreto predisposto dal Governo poiché ritenuto troppo oneroso.
Anche il TAR Brescia, con ordinanza 8.1.2009 n. 36, confermando il proprio orientamento, ha affermato la necessaria applicazione all'intera gamma dei servizi sociali erogati a favore delle persone con disabilità, dei principi espressi, in relazione ai servizi CDD e SFA, con sentenza 2.4.2008 n 350: i giudici bresciani hanno, infatti, sospeso la delibera di un Comune bergamasco avente ad oggetto la disciplina del servizio di assistenza domiciliare (SAD), dei servizi residenziali, e delle altre prestazioni definite, genericamente, servizi a favore delle persone con disabilità (ovvero CDD, CSE, SFA e relativo trasporto).
In effetti, i giudici bresciani sono quelli che maggiormente hanno scavato nelle ragioni profonde su cui è fondato il principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito, diretta espressione dei principi supercostituzionali di dignità personale, autonomia e indipendenza della persona disabile, sanciti dalla Convenzione di New York sui diritti delle persone con disabilità, nonché dei principi costituzionali di piena espressione della personalità, di uguaglianza formale e sostanziale e di capacità contributiva puntuali ed inderogabili punti di riferimento per le scelte concrete degli Enti locali, nonché parametro di valutazione della loro legittimità, oltre che delle finalità della norma perché "nelle situazioni di maggiore difficoltà come quelle che investono i soggetti diversamente abili le regole ordinarie dell'ISEE incontrano una deroga necessaria, dovendo obbedire alla prioritaria esigenza di facilitare il protrarsi della loro permanenza nel nucleo familiare ospitante",
Andando oltre il mero rispetto formale dell'art. 3 co. 2 ter D.Lgs 109/1998, e imponendo la salvaguardia del principio di indipendenza del disabile, declinato come divieto di compromettere ogni minima opportunità di gestione del proprio reddito in autonomia e il rispetto dell'obiettivo della legge di predisporre misure idonee ad alleviare gli sforzi economici della famiglia che ospita il disabile, l'orientametno dei giudici bresciani ha chiarito che l'evidenziazione economica del solo assistito deve essere effettiva: la sentenza ha, infatti, ritenuto del tutto irragionevoli i regolamenti annullati che prevedevano una compartecipazione alla spesa anche in caso di redditi nulli, inferiori al minimo vitale, o comunque minimi colpendo il soggetto diversamente abile, in maniera del tutto sproporzionata rispetto alla propria capacità contributiva..
Con l'ordinanza 8.1.2009 n. 36, il TAR Brescia implicitamente richiamando il proprio orientametno su tali principi, si è, in particolare, soffermato sul dovuto coinvolgimento delle associazioni di settore ribadendo che l'omessa attivazione della concertazione non può trovare giustificazione nella scelta del Comune di decidere in proprio le tariffe di un servizio e che l'esercizio in autonomia delle competenze in materia sociale non sembra sottrarre l'Ente locale dall'obbligo di coinvolgere preventivamente i soggetti che curano gli interessi degli utenti coinvolti.
Particolarmente importante tale riconoscimento in un momento nel quale i Comuni stanno mettendo mano ai Piani di Zona e predisponendo regolamenti ISEE distrettuali, che se approvati senza la previa concertazione con le associazioni, rischiano di essere successivamente invalidati dai giudici amministrativi.
Anche il 2008 si era peraltro chiuso positivamente: con la dettagliata ordinanza 27.11.2008 n. 836, infatti, il TAR Brescia, si era ampiamente pronunciato anche in relazione alla compartecipazione al costo di servizi residenziali.
La pronuncia riveste grandissima importanza perché nell'analizzare il rapporto tra disciplina ISEE e obbligo alimentare, offre la prima, completa, interpretazione dell'art. 8 L.R. 3/2008.
Netta e ampiamente motivata l'analisi del TAR bresciano, per il quale dalla posizione di familiare tenuto agli alimenti non deriva l'obbligo di provvedere al pagamento delle rette o un diritto di rivalsa a favore dei comuni che abbiano già pagato.
I giudici valorizzano l'inequivocabile disposizione dell'art. 2 co. 6 Dlgs. 109/1998 il quale precisa che le disposizioni sull'ISEE non attribuiscono agli enti erogatori la facoltà di agire nei confronti dei componenti il nucleo familiare dell'assistito ex art. 438 co. 1 c.c. il quale, in effetti, prevede che gli alimenti possano essere chiesti solo da chi versa in istato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento e comunque devono essere fissati dall'autorità giudiziaria.
Alla luce della strutturale incompatibilità tra disciplina ISEE e rivalsa nei confronti dei parenti i giudici hanno evidenziato come le norme della L. 1580/1931 sulla rivalsa per le spese di spedalità o manicomiali dovevano quindi intendersi come non applicabili.
Peraltro, l'ordinanza non manca di rilevare che la L. 1580/1931 risulta ora espressamente abrogata dall'art. 24 D.-L. 112/2008: si tratta della disposizione c.d. taglia-leggi, che nell'ambito del processo di semplificazione ha espressamente abrogato decine di leggi ormai desuete, inutili, o comunque implicitamente abrogate.
Alla luce di tali premesse viene quindi inquadrata anche l'interpretazione dell'art. 8 L.R. 3/2008 che, come noto, prevede che le persone che accedono alla rete partecipino, in rapporto alle proprie condizioni economiche, così come definite dalle normative in materia di Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) e nel rispetto della disciplina in materia di definizione dei livelli essenziali di assistenza, alla copertura del costo delle prestazioni mediante il pagamento di rette determinate secondo modalità stabilite dalla Giunta regionale, previa consultazione dei soggetti di cui all'articolo 3 (ovvero Comuni, singoli ed associati, province, comunità montane, ASL, ASP, persone fisiche, famiglie e gruppi informali di reciproco aiuto e solidarietà, soggetti del terzo settore, organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e altri soggetti di diritto privato che operano in ambito sociale e sociosanitario, enti riconosciuti delle confessioni religiose) e sentita la competente commissione consiliare.
I limiti, che la legge regionale pone alla discrezionalità della Giunta nella definizione delle rette, sono pertanto: da una parte, l'utilizzo dello strumento ISEE di cui al D.Lgs 109/1998, come previsto dagli artt. 25 L. 328/2000 e 6 D.P.C.M. 14.2.2001 e dall'altra, il necessario rispetto dei livelli essenziali di assistenza di cui all'art. 117 co. 2 lett. m) Cost., definiti, per la componente sanitaria con D.P.C.M. 29.11.2001 e per la componente assistenziale, in via di definizione, sulla base dell'art. 22 co. 4 L. 328/2000.
Anche l'ambiguo inciso partecipano altresì i soggetti civilmente obbligati secondo le modalità stabilite dalle normative vigenti, peraltro, non si sottrae a tali limiti, ed, anzi, non può che essere inteso come un rinvio all'applicazione della normativa statale vigente, alla luce dell'art. 117 co. 2 lett. l) Cost., che afferma la sussistenza della legislazione esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e processuale. Così, infatti, precisa il TAR: sulla disciplina della rivalsa non sembra aver inciso l'art. 8 co. 1 della LR 12 marzo 2008 n. 3, che contiene un generico riferimento ai soggetti civilmente obbligati secondo le normative vigenti. Questa appare del resto l'unica interpretazione costituzionalmente orientata, in quanto diversamente la legge regionale avrebbe invaso la potestà legislativa statale sui rapporti di diritto privato.
Coerentemente, il TAR Brescia ha censurato altresì la prassi di far sottoscrivere ai familiari dell'assistito un impegno al pagamento dell'intera retta al momento dell'ammissione nella RSD confermando un proprio orientamento già espresso con sentenza 10.9.2008 n. 1102 nella quale aveva affermato che si tratta di contratti di cui sarebbe necessario verificare in concreto la validità, da un lato perché sono motivati dalla necessità di assicurare il ricovero (e quindi sottoscritti in una situazione di debolezza o soggezione contrattuale) e dall'altro perché potrebbero comportare l'assunzione di obblighi che superano la quota di compartecipazione dei cittadini a questo tipo di spese.
Alla luce di tale orientamento, la generalizzazione di tali contratti di ingresso, prevista dalla Regione con D.G.R. 18501/2008, pone diversi dubbi rispetto alla sua legittimità, ed espone a gravi rischi anche gli enti gestori, a fronte delle contestazioni da parte degli utenti. Come sottolineato, in altra pronuncia, sempre dal TAR Brescia, infatti, la necessità dell'intermediazione dell'Ente pubblico risponde ai preminenti interessi collettivi di uguaglianza e solidarietà, per cui il soddisfacimento dei bisogni assistenziali del cittadino deve essere comunque garantito e la struttura frequentata deve confidare sulla certezza della corresponsione del corrispettivo, mentre gli ulteriori rapporti economici sottostanti vanno regolati successivamente (TAR Brescia, sent. 20.6.2008 n. 728).
I giudici bresciani, peraltro, oltre alla necessaria intermediazione da parte dell'ente pubblico, hanno riconosciuto anche la doverosa erogazione del servizio, valorizzando i puntuali richiami della L.R. 3/2008 ai livelli essenziali di assistenza: non sembra sostenibile la tesi che l'integrazione comunale sia dovuta negli ordinari limiti delle disponibilità di bilancio. È vero che nell'art. 13 co. 1 lett. c) della LR 3/2008 è contenuto un riferimento alle risorse disponibili, ma l'art. 8 co. 1 della medesima legge regionale fa salva la disciplina dei livelli essenziali di assistenza rafforzando in questo modo l'obbligo di integrazione dei comuni per quanto riguarda la disabilità grave.
Sempre in materia di LEA, peraltro il TAR bresciano ha fatto altre importantissime osservazioni evidenziando che l'esigenza di considerare la situazione economica del solo assistito è coerente con le direttive in materia di prestazioni socio-sanitarie (DPCM 14 febbraio 2001 - tabella allegata) e di livelli essenziali di assistenza (DPCM 29 novembre 2001 - allegato 1C area integrazione socio-sanitaria). Entrambe le direttive stabiliscono che i costi relativi ai disabili gravi siano ripartiti nella misura del 70% a carico del servizio sanitario e del 30% a carico dei comuni, fatta salva la compartecipazione da parte dell'assistito prevista dalla disciplina regionale e comunale. La ripartizione ammette delle oscillazioni ma i comuni sono tenuti, anche nell'interesse degli assistiti, a verificare nei rapporti con le autorità regionali che la loro quota non si discosti eccessivamente da questa proporzione. Perché la compartecipazione non si trasformi in una mera traslazione degli oneri mettendo a rischio la possibilità per i soggetti gravemente disabili di ottenere prestazioni classificate come livelli essenziali di assistenza occorre concentrare la base di calcolo sulla situazione economica del singolo assistito.
avvocato Francesco Trebeschi